Michele Damasceno, Divina Liturgia, Θεία Λειτουργία, XVI sec., Museo delle Icone e delle Sacre Reliquie dell'Arcidiocesi di Creta, Candia |
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sábado, 8 de junho de 2013
DON BOSCO: Istruzione sulla s. Messa
Istruzione sulla s. Messa
Presso tutti i popoli, che la storia ricorda, troviamo il sacrifizio
non solo interno e del cuore, come per esempio la rassegnazione e la
preghiera, ma anche l'esterno, il quale solo, propriamente parlando,
appellasi sacrifizio. Il sacrifizio fu in ogni tempo considerato
come parte essenziale del divin culto. Sotto il nome di sacrifizio
strettamente e propriamente parlando s'intende una offerta esterna di un
oggetto materiale fatta a Dio, quale supremo ed infinito padrone, da un
ministro pubblico e a ciò deputato (il sacerdote) a fine,
coll'immutazione {96 [104]} od anche colla totale distruzione di
quest'oggetto materiale, di attestare e riconoscere solennemente il
supremo dominio di Dio sopra tutte le cose[4].
In questo senso gli ebrei offrivano, secondo la prescrizione di Mosè,
vari sacrifizi, i quali oltre i particolari loro fini figuravano ancora
l'unico sacrifizio del cristianesimo e ricordavano la necessità della
penitenza senza aver la forza di operare la conversione dei cuori, e la
remissione dei peccati. Al contrario il sacrifizio del cristianesimo
opera per propria virtù nelle anime il pentimento, il perdono dei
peccati {97 [105]} e la santificazione degli uomini: ed è perciò il
compimento d'ogni sacrifizio, è la fonte più feconda delle celesti
benedizioni, è il mezzo più potente per condurre le anime all'eterna
felicità. Questo sacrifizio d'infinito valore offrivalo Gesù Cristo
Dio-Uomo morendo sulla croce a fine di riconciliare la caduta umanità
colla santità e colla giustizia del suo Eterno Padre, e per farci
ritornare figliuoli di Dio ed eredi del paradiso. Al compimento di
questo sacrifizio in croce dovevano, secondo le profezie, cessare tutti i
sacrifizi giudaici, e questo sacrifizio della croce si doveva in
perpetuo rinnovare e rappresentare in una maniera incruenta, cioè non
sanguinata, affinchè tutti i fedeli, col partecipare a questo
sacrifizio, partecipassero di continuo ai meriti di Gesù Cristo,
porgessero a Dio il debito tributo di adorazione, di ringraziamento e di
preghiera, ed entrassero in intima comunicazione col loro divin
Redentore. Questo eccelso sacrifizio dal quale tanto bene deriva ai
fedeli, ed eccita sentimenti di fede, {98 [106]} speranza e carità,
umiltà, pentimento, obbedienza, divozione a Gesù Cristo, è la s. Messa
dei cattolici, siccome fu dai profeti predetta, e realmente da Gesù
Cristo instituita. Che la Messa sia un vero sacrifizio lo definì il
Concilio di Trento con queste parole: « Se alcuno dirà non venir
nella Messa offerto al Signore un vero e proprio sacrifizio, oppure
questo sacrifizio in nient'altro consistere, che nella partecipazione di
Cristo, sia scomunicato. » (Sess. XXII, can. I).
Fra le profezie sulla s. Messa più rilevante avvi quella del profeta
Malachia; Iddio per bocca di questo profeta parlando agli ebrei, loro
dice: « Io più non ho in voi compiacenza alcuna, e non riceverò più
dalle vostre mani alcun sacrifizio. Imperocchè dall'oriente fino
all'occidente il mio nome è grande fra i popoli, e in tutti i luoghi
viene offerto al mio nome un sacrifizio mondo. Imperocchè il mio nome
sarà glorioso fra i popoli, dice il Signore degli eserciti. » (Malach. I, 11). Inoltre per bocca del profeta Davide l'Eterno Padre dice di Gesù Cristo (Salm. 109): Tu sei sacerdote in eterno {99 [107]} secondo l'ordine di Melchisedecco il quale offrì al Signore pane e vino (Gen. XIV, 18).
La Chiesa cattolica sulla scorta dei santi Padri ha sempre applicate
ambedue queste profezie alla Messa. Fra i ss. Padri che parlano di
questo sacrifizio s. Ireneo, il quale fiorì nel secondo secolo della
Chiesa, dice: Cristo prese ciò che in virtù di sua creazione era
pane, rese grazie e disse: questo è il mio Corpo, e similmente il
Calice.... lo riconobbe suo Sangue, e instituì perciò il novello
sacrifizio della novella alleanza, che la Chiesa ricevette dagli
apostoli, e in tutto il mondo offre a Dio: del qual sacrifizio Malachia
predisse: Dall'oriente ecc.
È chiaro pertanto che nelle addotte profezie il Signore annunziò:
1° L'abolizione del sacrifizio dell'antica legge, anzi l'abolizione
della legge medesima. Ciò dimostrasi sovratutto da quelle parole di
Malachia: Io più non ho in voi compiacenza alcuna, e non riceverò dalle vostre mani alcun sacrifizio.
2° L'istituzione di un novello sacrifizio. Malachia infatti parla di un
sacrifizio {100 [108]} che allora non esisteva ancora, perciò non di un
sacrifizio puramente interno di ringraziamento, di lode o di buone
opere che allora già esisteva, e che gli antichi patriarchi sempre
offrirono fin dal principio del mondo. Inoltre il profeta oppone questo
sacrifizio ai sacrifizi dei sacerdoti ebrei, esterni e reali: ciò vuol
dire, che sarebbe anche questo un sacrifizio esterno e reale. Finalmente
lo chiama mondo, tale cioè che non resterebbe macchiato
dall'indegnità dell'offerente, la qual cosa non può essere dei sacrifizi
puramente spirituali, i quali più o meno partecipano dei difetti
dell'umana debolezza.
3° Annunzia un sacrifizio, che nel merito intrinseco e nell'eccellenza
avrebbe di gran lunga superati i sacrifizi giudaici e pagani. Lo chiama
mondo ancora per opposizione a quelli de' giudei e del gentilesimo, i
quali od erano impuri, ovvero non possedevano alcuna virtù interna di
comunicare agli uomini la grazia e l'interna santità.
4° Questo novello sacrifizio doveva {101 [109]} avere una somiglianza
col sacrifizio di Melchisedecco, il quale offri pane e vino (Gen. XIV).
Dunque anche questo doveva avere l'aspetto di pane e di vino. In questo
senso il Messia, che lo avrebbe instituito e offerto, sarebbe sacerdote
secondo l'ordine di Melchisedecco, e non secondo l'ordine di Aronne (il
quale doveva offrire carne e sangue di animali) col quale nome avrebbe
dovuto essere chiamato, se il profeta con questo sacrifizio avesse
voluto solamente parlare del sacrifizio sanguinoso della croce.
5° Questo sacrifizio inoltre non sarebbe offerto in un luogo solo, come
i sacrifizi giudaici si offrivano nel solo tempio di Gerusalemme, nè
una sola volta, come il sacrifizio della Croce, ma su tutta la
superfìcie della terra, dall'oriente all'occidente, e sino alla fine del
mondo. Per questo motivo il Messia autore del medesimo, che pel primo
l'offrì, non vien semplicemente chiamato sacerdote, ma sacerdote in eterno,
perchè per mezzo de' suoi ministri offrir doveva ogni giorno all'Eterno
{102 [110]} Padre il sacrifizio incruento della propria carne e del
proprio sangue.
Siccome dunque il sacrifizio predetto tanti anni prima da Malachia non
può essere il sacrifizio incruento della croce, nè un sacrifizio interno
di lode o di buone opere, e meno ancora un sacrifizio dei giudei e dei
gentili, bisogna di necessità intendere il sacrifizio instituito dal
divin Salvatore nell'ultima cena, il quale non cessò mai da quel tempo
di essere offerto in ogni parte del mondo dai sacerdoti della sua
Chiesa. Un breve sguardo a quanto Egli operò in quella cena, e a ciò che
si opera nella Chiesa Cattolica, finirà di convincerci di questa
verità.
La
vigilia di sua passione, mentre gli apostoli mangiavano, così
l'Evangelista s. Matteo, Gesù prese del pane, lo benedisse, lo ruppe e
lo distribuì ai suoi discepoli dicendo: prendete e mangiate, questo è il
mio Corpo. Poscia prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi
discepoli, dicendo: bevetene tutti, imperciocchè questo è il mio Sangue,
Sangue del novello testamento, il {103 [111]} quale sarà sparso per molti in remissione dei peccati.
Con s. Matteo si accordano pienamente gli altri Evangelisti, e la
narrazione di s. Paolo. E poichè qui si trovano tutti i requisiti di un
vero sacrifizio, non si può mettere in dubbio, che Gesù Cristo non abbia
offerto nell'ultima cena un vero e reale sacrifizio. Noi vi troviamo 1°
la benedizione, la preghiera di lode e di ringraziamento a Dio datore
di ogni bene; 2° la immolazion della vittima: cioè nella conversione
separata in virtù delle parole di Cristo, del pane nel Corpo e del vino
nel Sangue, vi troviamo se non reale, una mistica separazione del sangue
dal corpo, e con ciò uno stato di vittima; 3° la partecipazione al
sacrifizio, che era pure una delle condizioni dell'olocausto pacifico.
Poichè ebbe Cristo offerto nell'ultima cena questo sacrifizio puro ed
immacolato, predetto dai profeti, egli lo instituì e ordinò a tutti i
luoghi, popoli e tempi, come un monumento di sua passione e morte da
conservarsi per sempre nella sua Chiesa: e perciò aggiunse: Fate ciò in memoria {104 [112]} di me.
Con le quali parole diede agli Apostoli ed ai loro legittimi
successori, i vescovi e gli altri sacerdoti, non solamente la potestà,
ma il comando di fare ciò che aveva fatto egli stesso.
Pertanto la Messa della Chiesa Cattolica è l'adempimento di questo
divin comando, ed è una continua ripetizione, e rinnovazione di quel
sacrifizio instituito da Gesù Cristo nella vigilia di sua passione. La
cosa è chiara per chiunque voglia paragonare l'uno coll'altro
sacrifizio. Imperocchè come in quello Gesù Cristo 1° ringraziò Iddio, 2°
cangiò il pane ed il vino colla sua onnipotente parola, 3° diede in
cibo e bevanda ai suoi discepoli la propria carne e sangue; così nella
s. Messa sono contenute queste tre parti essenziali, 1a l'offerta col ringraziamento, l'Offertorio ed il Sanctus, 2a la transostanziazione, 3a
la comunione. L'introito della Messa fino al Vangelo, e le preghiere
che accompagnano questa prima parte non sono punto essenziali al
sacrifizio, ma furono stabilite fino dai primitivi tempi della Chiesa
per innalzare sempre {105 [113]} più la maestà di questo sublime
mistero, e rendere a noi più sensibile il pregio infinito di
quest'azione.
Dalle cose fin qui dette risulta ancor chiaro, che la Messa è
essenzialmente lo stesso sacrifizio che Gesù Cristo offrì sulla Croce, e
in ciò solo si differenzia, che quello fu cruento cioè sanguinoso,
questo è incruento, cioè senza spargimento di sangue. Tanto nell'uno
quanto nell'altro vi ha la medesima vittima, il medesimo offerente Gesù
Cristo. In croce Gesù Cristo offrì sè medesimo al suo celeste Padre in
remissione dei nostri peccati; nella s. Messa offre parimenti se stesso
per noi per mezzo del sacerdote. Onde questi non pronunzia già le
miracolose parole della consacrazione in persona propria, ma a nome di
Gesù Cristo; non dice: questo è il Corpo di Cristo, ma questo è il mio Corpo.
Perciò Gesù Cristo è vero sacerdote in eterno secondo l'ordine di
Melchisedecco. Egli è che quotidianamente per mano de' sacerdoti offre
sui nostri altari il sacrosanto sacrifizio della sua carne e del suo
sangue sotto {106 [114]} le specie di pane e di vino. A questo proposito
dice s. Tommaso d'Aquino: Non potendo alcuno in veruna circostanza
rappresentare la persona di un altro senza averne prima ottenuta
l'autorità, Gesù Cristo autorizzò alcuni, i soli apostoli e loro
successori, i sacerdoti, per essere i veri ministri di questo sacrifizio
eucaristico. Imperocchè a loro soli ha detto: fate questo in memoria di
me.
È chiaro altresì che la dottrina della transostanziazione del pane e
del vino nel Corpo e Sangue di Gesù Cristo, e la credenza nella presenza
reale e permanente di lui sono i fondamenti del dogma della s. Messa.
Questa dottrina e la fede nella presenza reale ricavasi apertamente
dalle parole di Cristo agli apostoli, e dal costante sentimento della
Chiesa, la quale cominciando dagli immediati discepoli del Salvatore ha
sempre creduto così. Questo pensiero deve essere per ogni anima
cristiana feconda sorgente di profondissima divozione. Imperciocchè dopo
diciannove secoli si trova Gesù nella SS. Eucaristia {107 [115]}
presente non già per simbolica ricordanza, ma in persona, vivo, e in
tutta la pienezza di sua grazia, del suo amore. Egli vi si trova Dio e
Uomo in istato di vittima, quale avvocato, pregando l'Eterno suo Padre
che guardi benigno il suo popolo pentito. Egli vi si trova per ottenere
misericordia e perdono dei peccati, specialmente a quelli, che a lui di
cuore si rivolgono.
Il grande valore e l'eccellenza della s. Messa si può da ognuno
scorgere di leggieri. Se Gesù Cristo è la vittima e l'offerente supremo,
certamente la s. Messa riesce gratissima a Dio. Se per mezzo di altri
sacrifizi gli dimostriamo già il nostro rispetto, adorazione e
riconoscenza, perchè lo riconosciamo supremo Padrone e Datore di ogni
bene, la s. Messa qual sacrifizio del suo dilettissimo Figliuolo riesce
indubitatamente un sacrifizio di infinito gradimento l'atto più grande
di religione, l'adorazione più rispettosa, un contracambio infinito.
Perocchè noi offriamo al celeste Padre in adorazione e riconoscenza il
suo Figliuolo in qualità di vittima, e accompagniamo {108 [116]}
quest'infinita offerta con sentimenti personali di ossequio e di
gratitudine. E quindi si comprende eziandio che la s. Messa deve essere
un sacrifizio espiatorio pei vivi e pei defunti. Gesù Cristo in vero
offri se medesimo in croce pei nostri peccati, e questa offerta viene
rinnovata nella s. Messa. In verità per quel che è del peccato veniale,
s. Tommaso scrive così: l'essenza di questo sacramento è l'amore, il
quale non solo naturalmente si eccita, ma anche si esterna per mezzo di
questo sacramento; pel qual atto di amore i peccati veniali restano
perdonati. Riguardo poi ai mortali, la virtù del s. Sacrifizio è
solo indiretta in quanto che muove Iddio a concedere le grazie del
pentimento a coloro pei quali viene offerto. Inoltre essendo il valore e
l'efficacia della Messa infinita in virtù dei meriti di Gesù Cristo,
questo sacrifizio rende la migliore soddisfazione che possa immaginarsi
alla divina giustizia per i peccati nostri e pei peccati di coloro, che
sono già nell'altra vita. Perciò nella s. Messa si prega il Signore che
in vista del sacrifizio di Gesù Cristo egli {109 [117]} voglia perdonare
ai vivi e ai defunti la pena dovuta per li peccati. Onde consegue che
la s. Messa sia anche un sacrifizio eminentemente espiatorio.
In tutte le circostanze della nostra vita interna ed esterna, fauste ed
infauste, noi sempre possiam metterci in relazione colla s. Messa, a
fine d'impetrare, pei meriti di Gesù Cristo, grazia, consolazione e
conforto nei patimenti, felicità per noi e per altri ecc. Tutto quello che chiederete al Padre in nome mio, vi sarà concesso,
dice Cristo medesimo. Questi sono i grandi effetti che derivano
direttamente dalla s. Messa, i quali scaturiscono unicamente dalla virtù
di Gesù Cristo, nè perdono nè guadagnano dall'indegnità o dalla santità
del sacerdote.
Queste osservazioni sulla s. Messa devono animare potentemente ogni
fedele ad assistervi non solo nei giorni festivi, ma ancora nei dì
feriali, per quanto lo permettono i doveri del suo stato.
Giova poi il sapere, che le varie cerimonie e preghiere di cui si
compone la s. Messa, quanto alla sostanza, sono antiche {110 [118]}
quanto il cristianesimo, come ce lo dimostra la storia ecclesiastica;
cosichè le preghiere e le cerimonie che si usano oggidì nella s. Messa
sostanzialmente sono le stesse, che si usavano nei tempi apostolici.
Queste preghiere e cerimonie si possono distinguere in tre parti. Le une
formano come l'apparecchio della Messa e sono:
1° L'introito, il quale esprime una lode al Signore, e consiste in un versicolo tratto dai salmi, o da alcun altro libro della s. Scrittura.
2° Il Kirie, con cui confessiamo la nostra reità e preghiamo Iddio ad usarci misericordia.
3° Il Gloria,
nel quale ci solleviamo col pensiero alla gloria celeste e alla patria
dei santi. Per altro nei tempi di tristezza e nelle messe pei defunti il
Gloria si tralascia, come anche nelle messe feriali e votive,
perchè in queste Messe dobbiamo solo pensare alle nostre infermità, a
piangere i nostri peccati, o a suffragare le anime dei nostri
trapassati.
4° Le Collette, ossia Orazioni, nelle {111 [119]} quali il sacerdote a
nome della Chiesa prega pel popolo presente, acciocchè per la bontà di
Dio e per l'intercessione dei santi, dei quali si fa memoria, sia fatto
degno di partecipare ai santi misteri.
5° L'Epistola ed il Vangelo sono letti dal sacerdote ad istruzione del
popolo, al quale vengono spiegati nelle Messe parochiali nei giorni
festivi.
6° L'Offertorio in cui il sacerdote dopo avere recitate alcune parole
di lode a Dio, fa a Dio in nome suo e del popolo la offerta del pane e
del vino.
7° Il Prefazio, il quale è un invito che il sacerdote fa al popolo
perchè sollevi la mente e il cuore a Dio per prepararsi al grande
miracolo che sta per compiersi nella consacrazione del pane e del vino.
Le altre formano come il corpo della Messa e sono quelle comprese nel
Canone, il quale sostanzialmente si può dire ordinato dagli stessi
Apostoli. Ora nel Canone si distinguono le seguenti parti principali:
1° Il sacerdote prega per tutta la Chiesa, {112 [120]} pel sommo
Pontefice, pel vescovo e per tutti i fedeli in comune.
2° Fa il Memento, ossia la commemorazione dei vivi, pregando solo nel
segreto della sua mente per quelle persone in particolare di cui esso
intende fare una menzione speciale.
3° Fa la commemorazione di Maria SS., degli Apostoli, e dei Martiri
principali dei primi tempi, invocando il loro patrocinio.
4° Messe le mani sopra l'ostia ed il calice lo offre a Dio, pregando
che questi elementi vengano transostanziati nel corpo e nel sangue di
Gesù Cristo.
5° Fa la consacrazione del pane, proferendo le parole: Questo è il mio corpo,
e adorata col genuflettere l'Ostia consacrata, la alza perchè sia
veduta ed adorata dal popolo. Quindi consacra il vino proferendo le
parole: Questo è il calice del sangue mio, della nuova ed eterna
alleanza; mistero di fede, il quale sarà versato per voi e per molti
nella remissione dei peccati: e adorato che ha col genuflettere il
Sangue del {113 [121]} nostro Divin Redentore, alza il Calice perchè sia
veduto e adorato dagli astanti.
6° Prega l'Eterno Padre che si degni di accettare questo sacrifìcio, in
sacrificio di lode, di ringraziamento e di propiziazione.
7° Prega per tutti i fedeli defunti, facendo nel segreto della sua mente menzione di alcuni in particolare.
8° Fa ancora la commemorazione di altri santi martiri.
9° Recita il Pater noster.
10. Spezza l'Ostia consacrata in due parti, e da una di queste spicca una particella che mette nel calice.
11. Invoca tre volte l'Agnello di Dio, cioè Gesù Cristo ad avere pietà
di noi, quindi recita tre belle orazioni per apparecchiarsi alla ss.
Comunione.
12. Dette tre volte: Signore non sono degno che veniate sotto il mio
tetto: cioè, che voi entriate nel mio cuore, ma dite soltanto una
parola, e l'anima mia sarà salva, si comunica con ricevere il Corpo e il
Sangue di Gesù Cristo, e poi distribuisce la Comunione ai fedeli.
Quando per altro vi {114 [122]} sono molti da comunicare, per non troppo
trattenere in chiesa gli altri, si aspetta a dare la Comunione al
termine della Messa. 13. Raccolti i fragmenti della SS. Eucaristia,
che sono sul lino detto Corporale, li mette nel calice, e infondendo nel
calice un po' di vino, lo consuma. Quindi si purifica le dita con vino
ed acqua che infonde nel calice, e li consuma.
Finito il Canone, viene la conclusione della Messa, nella quale il
sacerdote 1° recita una o più preghiere per ringraziare Iddio di aver
partecipato al Corpo e Sangue di G. C. 2° dà la Benedizione al popolo.
3° legge il principio del Vangelo di s. Giovanni, o qualche altro
squarcio dei ss. Evangeli.
Dell'Altare e suoi ornamenti.
Il santo sacrifizio della Messa sì offre sopra un altare, il quale deve
essere decentemente ornato. L'altare come strumento del sacrifizio fu
in uso fino dai tempi primitivi. Di fatto noi leggiamo nella Bibbia {115
[123]} che Giacobbe eresse in altare la pietra, sulla quale aveva
posato il capo la notte, in cui era stato favorito della celeste visione
di una scala misteriosa. Nella legge mosaica è celebre l'altare eretto
da Mosè nel tabernacolo, e poi quello del tempio di Gerusalemme.
Quest'uso passò nella legge evangelica, e cominciò fino dai tempi
apostolici; perocchè troviamo che s. Paolo nelle sue lettere parla
dell'altare e della mensa, su cui offrivasi l'Eucaristia. (I Corint. X,
Hebr. X). L'altare poi con tutti i suoi ornamenti giova assai a nutrire
la nostra pietà e religione. In fatti l'altare considerato in se stesso
ci ricorda naturalmente sia la tavola sopra cui Gesù Cristo fece
l'ultima cena co' suoi discepoli, sia la croce sulla quale egli si
sacrificò per la nostra salute. Per legge antichissima della Chiesa,
fatta sino dai tempi degli Apostoli, fu stabilito che l'altare deve
essere di pietra, o almeno di pietra deve essere quella parte, sopra cui
si pone l'ostia e il calice per la consacrazione: perchè l'altare è
figura di Gesù Cristo, il quale nella sacra {116 [124]} scrittura è
chiamato pietra angolare, a cagione della sua forza divina, ed è pietra
fondamentale della Chiesa. L'altare deve essere consacrato secondo l'uso
praticato fin dai primi secoli della chiesa, e che probabilissimamente
fu prescritta dagli Apostoli stessi. Questa consacrazione significa la
santità di Gesù Cristo, che è raffigurato nell'altare, e dal quale
deriva nei fedeli ogni santità: e che nel consacrarlo si chiudono dentro
al medesimo delle reliquie di santi per significare l'intima unione che
i santi hanno con Gesù Cristo, e farci comprendere quanto sia grande la
loro intercessione presso a Dio in nostro favore. E questa usanza
rimonta alla più remota antichità, e rammenta il tempo delle
persecuzioni, nel quale i sacerdoti erano nella dura necessità di
celebrare la santa messa nei luoghi sotterranei, dove le tombe dei
martiri servivano di altare. L'altare, quando vi si celebra la s. Messa,
deve essere coperto di tre tovaglie l'una sull'altra, le quali
rappresentano i lini in cui fu ravvolto il corpo di Gesù Cristo, e messo
nel {117 [125]} sepolcro. La croce, posta sull'altare in mezzo ai
candelieri, significa il trionfo che l'Agnello divino riportò sopra il
mondo non col ferro, ma col legno, come era stato predetto dai profeti,
cioè coi meriti della sua passione e morte sull'albero della croce. Le
fiammelle delle candele accese a destra e a sinistra sono un simbolo
della luce che il Vangelo ha portato ai giudei e ai gentili, e della
viva fede e ardente carità che deve essere nel cuore di coloro che
assistono alla s. Messa. Si usa anche di collocare sopra l'altare le
reliquie dei Santi per esporle alla venerazione dei fedeli e per
significare che le loro anime sono già in cielo intorno al trono di Dio
come le loro ossa si trovano quivi in terra vicino all'Agnello
immacolato, offerto sotto le specie eucaristiche. Vi si pongono anche
dei fiori o naturali od artificiali per dimostrare, che tutto ciò che vi
ha di bello e vago quaggiù deve essere consacrato alla gloria di Gesù
Cristo, e che la sua Chiesa è come un giardino ove è una grande varietà
di fiori spirituali. {118 [126]}
Del Calice e suoi ornamenti.
Per celebrare la s. Messa si deve adoperare un piattello detto patena,
su cui si pone l'Ostia, e un calice dentro al quale si versa il vino.
Noi troviamo che nei primi tempi della Chiesa si usavano non solo calici
d'oro o d'argento, ma talvolta quando la necessità lo richiedeva, anche
calici di legno, di pietra, di vetro o di creta. Da lungo tempo per
altro sia per maggior riverenza, sia particolarmente per impedire le
profanazioni che possono accadere quando il calice è di materia fragile,
la Chiesa ordinò che i calici siano d'oro o d'argento o almeno di
stagno colla coppa indorata al di dentro, e le patene siano anch'esse
d'oro o d'argento o almeno di rame dorato nella parte superiore. Sopra
il calice durante la messa si mette un pezzo di lino quadrangolare detto
palla reso alquanto duro con amido per impedire {119 [127]} che
alcuna cosa vi cada dentro. Questo pezzo di lino non deve essere coperto
di seta, nè avere alcun ricamo, ma solo una croce nel mezzo. Sul calice
si mette anche un pannolino, che deve essere lungo più di un palmo, e
non mai indurito con amido, per pulirne e asciugarne la coppa. E questo
lino è detto purificatore. Il calice prima dell'offertorio e dopo
la comunione non si deve lasciare scoperto sull'altare; ma deve essere
coperto con un pezzo di stoffa per lo più di seta, chiamato il velo.
E ciò sia per riverenza verso questo vaso sacro, sia per conservarlo
pulito e mondo. In fine quando si porta il calice all'altare, sopra il
velo si pone una borsa quadrangolare della medesima stoffa e dello
stesso colore delle paramenta, la quale racchiude un lino candido e
pulito reso duro con amido. Questo lino si stende sul mezzo dell'altare e
sopra di esso si pone il calice e l'ostia, ed è detto corporale, perchè sopra di esso si consacra e in esso si colloca il corpo sagratissimo del nostro divin Redentore. {120 [128]}
Delle vesti sacerdotali.
Se nella società civile si usano abiti distinti secondo le diverse
civili funzioni che si hanno da compiere, e se la forma e il colore
delle vestimenta cangiano fra le persone di mondo, e variano secondo i
giorni di solennità, di esultanza o di duolo, non dovrà certamente fare
maraviglia se nella società cristiana si usino eziandio ornamenti
particolari ne' suoi divini uffizi. Ciò si conforma maravigliosamente
alla nostra natura la quale ha bisogno che i sensi siano scossi
dall'esterno apparato delle cose per sollevarsi a contemplare la
sublimità dei santi misteri. Perciò molto sapientemente la Chiesa vuole
che i suoi sacerdoti nel celebrare la s. Messa si adornino di vesti
particolari benedette dal vescovo a questo fine, le quali si chiamano paramenti sacri.
Da principio queste vesti nella forma erano simili a quelle usate dai
laici costituiti {121 [129]} in dignità: e solo si differivano nella
preziosità della materia e del lavoro conciossiachè sembri che anche
nelle catacombe nel celebrare la s. Messa, quando si poteva, si usassero
vesti tessute d'oro e ornate di gemme. I primi cristiani solevano
consacrare al servizio di Dio l'oro e le pietre preziose che avevano
usate ad offenderlo quando erano ancora gentili. Essendo poi quelle
forme di abiti andate in disuso fra i laici, la Chiesa ne conservò
l'antica forma con qualche modificazione. Questi abiti debbono essere,
come dicemmo, benedetti dal vescovo, e il sacerdote tutte le volte che
le indossa recita preghiere alla misteriosa loro significazione. Queste
vesti sono le seguenti:
1° L'amitto
ossia pannolino con una croce nel mezzo, col quale il sacerdote si
copre il capo. Esso ci ricorda il velo con cui i Giudei coprirono la
faccia del Salvatore, schiaffeggiandolo nella sua passione. Posto sul
capo del sacerdote, esso figura l'elmo militare, e gli ricorda la
fortezza con cui deve combattere le battaglie del {122 [130]} Signore e
la modestia e il rispetto con cui deve accostarsi ai santi misteri.
Quest'ornamento, dice il papa Innocenzo III (Del mist. della s. Messa), ci rammenta che Gesù Cristo per operare la nostra salute ha nascosto la sua divinità sotto il velo dell'umana natura.
2° Il camice,
che nell'impero romano portavano le persone ragguardevoli, e che la
Chiesa ha conservato, perchè colla sua bianchezza indica l'interna
purezza, che deve avere il sacerdote per salire all'altare e immolare
l'Agnello immacolato. Esso ci ricorda la veste bianca, che l'empio Erode
fece mettere al divin Salvatore per derisione, e c'insegna a
sopportare, ad esempio di lui, con pazienza le irrisioni degli uomini,
che cogli scherni perseguitano la nostra virtù.
3° Il cingolo,
il quale simboleggia la corda colla quale il nostro divin Salvatore fu
legato dai Giudei nell'orto degli olivi. Esso ricorda la castità e la
repressione d'ogni carnale dilettazione, in cui deve distinguersi il
sacro ministro. {123 [131]}
4° Il manipolo
anticamente era un piccolo fazzoletto che teneva luogo della stola,
quando questa era divenuta un semplice ornamento e serviva, come già la
stola, ad asciugare il sudore e le lagrime. Dopo il secolo duodecimo
divenne esso pure un semplice ornamento nelle vesti sacerdotali, il
quale si pone sul braccio sinistro. Conservò tuttavia il primiero suo
significato, quello cioè dei travagli, dei sudori, delle lagrime, a cui
va soggetta la vita cristiana. Legato al braccio del sacerdote significa
le ritorte con cui l'adorabile Redentore fu avvinto alla colonna.
5° La stola,
è un pannolino di cui le persone ricche servivansi per asciugarsi il
volto. Al sesto secolo ella cangiò d'uso e di forma, imperocchè cominciò
a farsi di stoffa in forma lunga e stretta, qual si vede oggidì. Ella
venne quindi ad essere una veste d'onore e di autorità, simbolo della
potenza annessa al carattere sacerdotale: e perciò è adoperata dal
sacerdote in tutte le funzioni, che hanno per oggetto immediato il corpo
di Gesù Cristo, e nella {124 [132]} più parte degli altri sacri
misteri. Ella significa quella gloria ed immortalità, che la
prevaricazione del primo Adamo ci aveva fatto perdere, ma che ci ha
ricuperata il secondo Adamo, Gesù Cristo. Questo indumento sacerdotale
che lega il collo e viene a incrocicchiarsi sul petto del sacerdote,
mentre celebra la s. Messa, rappresenta pure al vivo la fune da cui era
legato Gesù Cristo quando saliva al Calvario. La croce, che forma sul
petto al ministro di Dio, gli insegna che tutta la potenza sacerdotale
sta nella croce di Gesù Cristo.
6° La pianeta, detta in latino casula
(casella), è così chiamata, perchè nell'antica sua forma era una cappa
che aveva la figura di una capanna e copriva tutta la persona del
sacerdote dal collo in giù, con una sola apertura al di sopra per
entrarvi il capo. I ministri che assistevano il sacerdote all'altare
sollevavano questo pesante mantello mentre esso aveva da alzare le mani o
incensando col turibulo o sollevando l'ostia o il calice, la quale
usanza si conserva ancora oggidì, benchè {125 [133]} non ve ne sia più
il bisogno. La pianeta significa la veste inconsutile, cioè senza
cucitura, della quale Gesù Cristo fu spogliato dai manigoldi nella sua
crocifissione. Sovraponendosi a tutte le altre vesti essa è segno della
carità, che deve spandersi sovra tutte le nostre virtù. Dinota eziandio
il soave giogo della legge di Gesù Cristo, che i sacerdoti e i fedeli
debbono portare ogni giorno per conseguire la grazia e la gloria
celeste.
Nelle messe solenni il diacono indossa una veste appellata dalmatica, così detta per esserne stato primieramente introdotto l'uso nella Dalmazia: e il suddiacono si adorna d'una veste detta tunicella
ossia piccola tonaca. Oggidì tra la dalmatica e la tunicella non è
differenza di forma: ma anticamente la prima era assai più ampia e più
lunga e più ornata della seconda. Amendue queste vesti hanno larghe
maniche per indicare che i sacri ministri devono largheggiare nelle
opere di carità ed in prontezza nel servizio del Signore. In certe sacre
funzioni il sacerdote veste {126 [134]} il piviale che
anticamente era una specie di mantello, il quale soleva portarsi in
tempo piovoso, e per questo aveva attaccato un capuccio da coprire il
capo. Di esso rimane ora un vestigio in quel pezzo a forma di mezza luna
che pende di dietro. Il piviale strettamente parlando non è un abito
sacro, perciò non è benedetto e non è portato esclusivamente dal
sacerdote come è la pianeta, ma si usa anche dagli altri ministri a lui
inferiori.
Il piviale significa anche al pari della pianeta la carità evangelica,
che deve, per così dire, coprire tutte le opere del sacro ministro. Gli
abiti sacerdotali coi loro simboli servono a pascere la pietà non solo
del sacerdote che li porta, ma anche dei fedeli, che assistono
all'augusto sacrifizio. Perciò l'amitto ci deve ricordare e raccomandare
a tutti la modestia negli abiti, il raccoglimento e il silenzio nella
casa del Signore. Il camice e il cingolo la purezza di mente e di cuore;
il manipolo, la vita laboriosa e le buone opere, che noi dobbiamo
offrire insieme colla {127 [135]} vittima sacrosanta; la stola deve
rammentare a tutti noi cristiani la dignità della nostra vocazione per
cui possiamo offerire sacrifizi sulla terra, e regnare in cielo; la
pianeta il giogo della religione, alla quale ci dobbiamo sottomettere in
ogni circostanza della vita. Finalmente tutto l'esteriore apparato
delle sacre funzioni deve parlare agli occhi nostri in guisa da
sollevare l'anima nostra a Dio per farci rilevare la eccellenza e la
grandezza del s. sacrifizio della Messa e di tutti i divini misteri.
Del colore delle vesti sacerdotali.
La santa Chiesa per meglio avvertire i fedeli della qualità dei Misteri
e dei Santi al cui onore si celebra dì per dì la s. Messa, ha
introdotto vari colori nelle sacre vesti. Questi colori secondo i sacri
riti sono cinque: il bianco, il rosso, il verde, il violetto ed il nero.
Il color bianco è simbolo di gioia e gaudio, {128 [136]} ed anche della
purità e del candore della virtù. Quindi convenientemente si adopera
nelle feste in onore di Gesù Cristo, di Maria SS., degli Angeli, di quei
Santi, il cui particolar distintivo è la purezza e santità di vita. Lo
stesso color bianco si usa nelle feste dei Pontefici, dei Dottori, dei
Confessori, delle Vergini, delle Vedove e degli altri Santi non
martirizzati. Esso è un invito per noi alla purità ed alla santità.
Il rosso, che è il colore del sangue e del fuoco, si usa nelle feste
dei ss. Martiri, che col loro sangue suggellarono la fede cristiana, ed
anche in quelle dello Spirito Santo, che scese sopra gli Apostoli in
forma di lingue di fuoco. L'uffizio di esso è di illuminare ed
infiammare i nostri cuori. Questo colore rammenta a noi il dovere, che
abbiamo di professare la fede e di praticare la morale di Gesù Cristo, a
costo eziandio di sacrifizio fosse anche quello della nostra vita; ed
il fervore, con cui dobbiamo servire al Signore.
Il verde si adopera nelle Domeniche dalla {129 [137]} SS. Trinità
all'Avvento e dall'ottava dell'Epifania alla Settuagesima, sia nelle
Domeniche sia negli altri giorni di tal tempo quando in essi non occorra
la festa di qualche Santo. Ora il color verde è il simbolo della
speranza, perchè generalmente esso è il colore delle foglie delle
piante, le quali, quando sono bene verdeggianti, lasciano sperare a
tempo suo abbondanza di frutti. Perciò meritamente la Chiesa, quando non
è occupata da altri sentimenti di gioia o di tristezza, desidera di
eccitare vivamente nei nostri cuori quello della speranza, presentandoci
il color verde nei suoi abiti sacerdotali.
Il violetto, la cui tinta è mezzana tra l'oscuro ed il chiaro, è
simbolo di dolore misto a conforto; quali sono appunto i due sentimenti,
che la Chiesa intende di svegliare negli animi nostri nell'Avvento e
nella Quaresima per muoverci a fare penitenza dei nostri peccati. Laonde
quel colore viene usato in tali tempi. Nell'Avvento l'anima sospira la
venuta del Salvatore dentro di sè, e geme sopra i suoi peccati {130
[138]} coi quali lo ha contristato: spera per altro, che questi le
verranno perdonati, e che essa otterrà la grazia di ricevere dentro di
sè il suo Gesù. Nella Quaresima poi il cristiano piange i suoi peccati,
che furono la causa della passione e morte del suo divin Redentore, ma
si conforta colla dolce speranza del perdono.
Il nero, che è simbolo della morte e di duolo, si adopera nelle messe e
negli uffici pei defunti per così esprimere al vivo il cordoglio che la
Chiesa sente nel vedere i suoi figli rapiti da quella morte, che è una
punizione della colpa primitiva, e più ancora per le pene acerbissime,
che generalmente debbono soffrire in purgatorio prima di essere ammesse
al godimento del cielo: ed anche per mettere sotto gli occhi degli
astanti il salutare pensiero della morte acciocchè si distacchino da
questo mondo, e si preparino a quel fatale passaggio. {131 [139]}
Preghiere per la s. Messa in suffragio dei defunti
Istruzione.
Per applicare la Messa e per assistervi in suffragio dei morti non è necessario che questa sia una Messa da Requiem
coi paramentali neri. Qualunque Messa benchè celebrata da vivo coi
paramenti di colore vivo può essere applicata ai defunti. Perciò ogni dì
si possono suffragare i defunti col s. Sacrifizio della Messa;
nulladimeno la Chiesa per richiamarci in modo più espressivo la memoria
dei morti, e per muoverci più efficacemente a pregare per loro, talvolta
permette, e nel dì della solenne commemorazione di tutti i defunti,
{132 [140]} comanda a' suoi ministri di celebrare la Messa, che si dice
da Requiem, coi paramentali di color nero.
Questa Messa è detta da Requiem perchè l'introito comincia con la parola Requiem,
e perchè la Chiesa per le mani del sacerdote offre il santo sacrifizio
in modo particolare per ottenere da Dio alle anime purganti la requie,
ossia il riposo eterno, il perdono delle loro colpe. Questa Messa è
accompagnata da alcune cerimonie particolari, di cui è bene conoscere la
cagione ed il significato.
La Chiesa nella persona del suo ministro si veste di ornamenti lugubri
per indicare ai viventi, secondo le parole di s. Paolo, che essa qual
tenera madre geme con quei che gemono, piange con quei che piangono; e
per eccitare i figli suoi ad imitarla nell'afflizione, ed a volgersi al
misericordioso Iddio pregandolo che consoli quelle anime benedette,
introducendole nel regno della pace.
Il sacerdote ai piedi dell'altare non dice il Salmo Judica me, Deus,
per mezzo del {133 [141]} quale il profeta Davide esprimeva la gioia
che provava nell'accostarsi al sacro tempio, al tabernacolo del Signore;
imperocchè la Chiesa ricorda che i figli suoi, pei quali prega, non
sono ancora entrati nella gioia del Signore, nella celeste Gerusalemme.
All'introito
il sacerdote non fa sopra se stesso il segno della santa croce, ma lo
fa sul messale, indicando con ciò che le anime dei trapassati hanno
bisogno di partecipare al sacrifizio della croce per la suprema
espiazione dei loro peccati.
Si tralascia parimenti il Gloria e l'Alleluia
in segno di mestizia. Il Vangelo essendo la buona novella della pace,
che Gesù venne donare al mondo, dopo essere letto non è baciato dal
sacerdote, come si fa nelle messe dei vivi, perchè i defunti pei quali
più particolarmente si celebra non hanno ancora ricevuto il bacio
dell'eterna pace, e non sono ancora ammesse al godimento di Dio.
Il sacerdote tralascia pure il segno della santa croce che fa
ordinariamente sopra l'acqua prima di versarne alcune gocce {134 [142]}
nel vino, perchè quest'acqua rappresentando i fedeli viventi, la Chiesa
vuole che questi sappiano che il frutto speciale della s. Messa ora deve
essere applicato ai defunti; oppure anche perchè le anime purganti
essendo già indissolubilmente unite con Gesù Cristo raffigurate nel vino
(come ce lo insegna s. Cipriano) non hanno più bisogno di essere
benedette per conseguire questa unione.
Avanti la comunione il sacerdote pronunzia bensì, come nelle altre messe, tre volte queste parole: O agnello di Dio, che togliete i peccati del mondo, ma invece di aggiungere la preghiera: abbiate pietà di noi, egli sostituisce quest'altra: date loro il riposo eterno.
Questo fa, affinchè intendiamo che il sangue della vittima divina fu
offerto a Dio specialmente per la liberazione dei nostri fratelli
defunti, in soddisfazione dei loro peccati.
Nella Messa solenne pei defunti i ministri non si danno vicendevolmente
la pace, perchè questa si dà solo come apparecchio di carità alla santa
Comunione. Ma anticamente {135 [143]} la Messa da Requiem si
celebrava sempre dopo un'altra, nella quale tutto il clero già si era
comunicato, perciò non c'era più bisogno di questa mostra esteriore di
mutuo perdono nella Messa pei morti. Infine non si benedice il popolo
affinchè i fedeli presenti siano avvertiti che il più lieve peccato è di
ostacolo a ricevere da Dio quella pienezza delle sue benedizioni che si
riceve solo nel gaudio eterno del paradiso, nel quale non si può
entrare se non dopo avere pagata colle pene del purgatorio ogni debito
alla divina giustizia.
Tutte queste cerimonie tendono non solo a sollevare a Dio i nostri
cuori, ma ad eccitarli ad una tenera compassione per le anime purganti.
Sebbene ogni preghiera fatta durante la s. Messa coll'intenzione di
suffragare quelle povere anime possa essere loro salutare, sembra
nondimeno che siano da preferire quelle orazioni, le quali sono
preparate a bella posta a questo scopo. Per esempio si potrebbe
adoperare la seguente: {136 [144]}
Preghiera avanti la Messa.
O Dio infinitamente giusto, che punite ogni colpa con sommo rigore,
perciò tenete le anime purganti in quel carcere di tenebre e di dolori,
finchè abbiano pagato pienamente ogni debito alla vostra infinita
giustizia: ma nel tempo stesso da Padre misericordioso siete disposto ad
accettare le nostre preghiere ed opere meritorie, e sovratutto il santo
Sacrifizio della Messa in isconto dei loro debiti, io imploro la vostra
clemenza pel sollievo e per la liberazione delle anime de' miei
fratelli, che la vostra giustizia tiene legate in quella oscura
prigione. O Dio di consolazione e di grazia, son vostri figli quei che
soffrono là in quel carcere. Voi li amate, ed essi pure vi amano: eglino
sospirano di vedervi e godervi con quell'ardore, con cui il cervo
sitibondo desidera l'acqua della fontana per refrigerarsi. Il loro più
grande tormento, o mio Dio, si è il non poter ancora veder Voi, nè
possedere {137 [145]} Voi, che siete l'unico oggetto dei loro voti
ardenti e la loro unica felicità. Mostrate loro il vostro volto beato, e
saranno nella gioia. Essi vi aspettano, Signore, in una perfetta
sommissione, ma oh! quanto è doloroso per loro il rimanere lontani da
Voi, quanto è amaro per loro questo esiglio, quanto duro il non potervi
vedere! Fate, o Dio mio, che la compassione che io sento per essi sia
loro di giovamento; ricevete in loro suffragio le preghiere che a Voi
innalzo, le quali affinchè siano efficaci presso alla divina vostra
misericordia, io unisco coi meriti infiniti della vittima di
propiziazione, che sta per immolarsi sopra questo altare, a fine di
placare la vostra giustizia, e soddisfare alla vostra Maestà oltraggiata
dai peccati degli uomini. O mio Dio, rivolgete gli occhi vostri sopra
Gesù Cristo vostro divin Figliuolo, nel quale avete riposto ogni vostra
compiacenza, il suo sangue, che insieme colla vostra Chiesa io vi offro,
grida misericordia per quelle sante anime: perciò noi speriamo che Voi
ascolterete questa voce così possente, e a Voi sì cara. {138 [146]}
Tutte le anime del purgatorio mi sono unite col vincolo della carità,
io adunque, Dio mio, vi prego per tutte indistintamente, chè tutte le
desidero liberare da quelle pene; ma siccome alcune di loro hanno
particolari diritti alle mie preghiere, gradite, mio Dio, che io ve le
offra oggidì in modo speciale pel sollievo e per la liberazione di N. N.
(Nominate il defunto, o li defunti pei quali volete più particolarmente pregare).
Degnatevi, Signor mio, di loro applicar abbondantemente i meriti del
santo sacrifizio della Messa, che ora intendo di ascoltare in loro
suffragio. Io vi dimando questa grazia per Gesù Cristo, vostro Figlio,
nostro Signore. Così sia.
Durante il Confiteor.
Ohimè! se il legno verde è trattato in simil modo, che sarà del legno
secco? Se anime così sante hanno tuttavia a soddisfare alla vostra
giustizia, o mio Dio, con sì duri e sì lunghi patimenti, ahimè infelice!
io che sono un peccatore sì grande {139 [147]} che cosa non avrò da
temere dai vostri severi giudizi? Dio Santissimo, che siete offeso dalle
nostre colpe, ma siete anche placato dal nostro pentimento, io vi
confesso con umiltà i peccati miei, il mio amor proprio non può
dissimularmeli più; io confesso col pubblicano che non sono degno nè
anche di entrare nella vostra casa e che ben lontano dal meritare grazie
per altri, alcuna non ne merito per me stesso. Ma io confido nella
promessa che Voi mi avete fatto di non mai rifiutare un cuore contrito
ed umiliato. La vostra infinita bontà già ha concesso il perdono de'
miei peccati, e questo primo favore mi fa sperare che Voi mi concederete
ancora quello che io imploro per l'accrescimento della mia contrizione,
e per la liberazione delle anime del purgatorio.
All'Introito.
Fatemi concepire, o Signore, un salutare timore de' miei peccati, che
io reputo {140 [148]} leggieri, e che Voi punite con tanto rigore in
quelle anime, alle quali sta preparato il regno celeste. Fatemi compire
quaggiù tutta la mia penitenza, affinchè più niente me ne resti a fare
nell'altra vita. Misericordioso Gesù, esaudite la mia preghiera e per me
e pei nostri fratelli, che soffrono nelle fiamme punitrici da Voi
accese a fine di purificarli; o piuttosto rivolgete gli occhi
misericordiosi, o Agnello innocente, sopra la penitenza che Voi avete
fatto per loro e per me.
Al Kyrie.
O buon Gesù, le replicate suppliche della vostra Chiesa salgano al
vostro trono come incenso di soavissimo odore. O Agnello di Dio, che
cancellate i peccati del mondo, dite in questo momento a quelle care
anime, come un dì al buon ladrone; Oggi voi sarete meco in paradiso. {141 [149]}
All'Oremus per tutti i fedeli defunti.
O Dio Creatore e Redentore di tutti gli uomini, alle anime dei vostri
servi e delle vostre serve, che ci hanno preceduto col segno della
croce, e che Voi avete trovato degne bensì della vostra amicizia, ma non
ancora abbastanza pure da essere ammesse nella vostra gloria, concedete
il perdono che la vostra Chiesa colle umili e fervorose sue preghiere
vi domanda, e che esse aspettano dalla vostra misericordia, Voi che
essendo Dio vivete e regnate per tutti i secoli dei secoli. Così sia.
All'Epistola.
Voi ci avete mandati i vostri profeti, o Signore, affinchè
c'insegnassero che noi non abbiamo quaggiù dimora permanente, e che
avremo un giorno da abitare nella casa della nostra eternità. Fu da voi
decretato, Dio mio, sempre giusto nella vostra {142 [150]} volontà, che
noi dovessimo un giorno morire, e che dopo la morte avessimo da rendere a
Voi un conto rigoroso di tutte le nostre azioni. Si sono già presentate
al vostro tribunale quelle anime, per le quali oggi vi prego. Ah! se
voi non le avete trovate ancora abbastanza sante per essere ammesse al
godimento della vostra gloria, accettate benignamente in espiazione dei
loro peccati il sangue divino che sta per essere versato su questo
altare, e che cancella tutti i peccati del mondo.
Non entrate ancora, o giusto Giudice, in giudizio col vostro servo, che
vi prega; ma fate che io fin da questo momento mi giudichi da me stesso
con severità, e senza indugio facendo frutti di vera penitenza plachi
il vostro sdegno per evitare un giorno i colpi della vostra giustizia.
(Se la messa da requiem
è cantata si potrà leggere il Dies irae come segue):
Dies irae, dies illa
Solvet saeclum in
favilla:
Teste David cum
Sybilla. {143 [151]}
Quantus tremor est futurus,
Quando Judex est
venturus
Cuncta stricte
discussurus!
Tuba mirum spargens sonum
Per sepulchra
regionum
Coget omnes ante
thronum.
Mors stupebit et natura,
Cum resurget creatura
Judicanti responsura.
Liber scriptus proferetur,
In quo
totum continetur,
Unde mundus iudicetur.
Judex ergo cum
sedebit,
Quidquid latet, apparebit:
Nil inultum remanebit.
Quid sum miser tunc dicturus?
Quem patronum
rogaturus
Cum vix iustus sii
securus?
Rex tremendae maiestatis,
Qui salvandos salvas gratis,
Salva me, fons pietatis.
Recordare, Jesu
pie,
Quod sum causa tuae viae:
Ne me perdas illa die.
Quaerens me sedisti
lassus:
Redemisti Crucem passus:
Tantus labor non sit cassus.
Juste Judex ultionis,
Donum fac remissionis
Ante diem rationis.
{144 [152]}
Ingemisco tamquam reus:
Culpa rubet vultus
meas:
Supplicanti
parce, Deus.
Qui Mariam
absolvisti,
Et latronem exaudisti,
Mihi quoque spem dedisti.
Preces meae non sunt dignae;
Sed tu bonus fac
benigne,
Ne
perenni cremer igne.
Inter oves locum
praesta,
Et ab hoedis me sequestra,
Statuens in parte dextra.
Confutatis maledictis,
Flammis acribus
addictis,
Voca me cum
benedictis.
Oro supplex et acclinis,
Cor
contritum quasi cinis;
Gere curam mei finis.
Lacrymosa dies
illa,
Qua resurget ex favilla.
Judicandus homo reus,
Huic ergo parce
Deus:
Pie Jesu Domine,
Dona eis requiem. Amen.
Offertorio. Domine Jesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fìdelium
defunctorum de poenis inferni, et de profundo lacu; libera eas de ore leonis,
ne absorbeat eas tartarus, ne cadant in obscurum: sed signifer sanctus Michaël
{145 [153]} repraesentet eas in lucem saactam: Quam olim Abrahae promisisti, et
semini eius.
Y. Hostias et preces tibi, Domine, laudis offerimus: tu suscipe pro
animabus illis, quarum hodie memoriam facimus: fac eas, Domine, de morte
transire ad vitam. Quam olim Abrahae promisisti et semini eius.
Al Vangelo.
Gesù, divin Redentore, Voi siete quell'acqua viva che sale sino alla
vita eterna: Voi siete quella manna celeste che non lascia morire, chi
se ne ciba, della morte dei peccatori: Voi avete detto che colui il
quale mangia la vostra carne e beve il vostro sangue, avrà la vita
eterna, e sarà da Voi risuscitato nell'ultimo giorno; che chi si ciba di
Voi abita in Voi, e Voi abitate in lui stesso. O divin Salvatore, che
siete la risurrezione e la vita, quelle anime che gemono ancora da Voi
lontane, si sono nutrite della vostra carne, ed hanno bevuto il vostro
sangue, Voi siete entrato in loro, ed elleno si sono unite strettamente
ed intimamente con Voi. {146 [154]}
Adunque compite ora le promesse della vostra pietà, ascoltate i loro
lamenti, lasciatevi muovere dai loro gemiti, non tenetele più a lungo da
Voi lontane. O Gesù Salvatore, Voi che avete tratto fuori Lazzaro
vostro amico dal sepolcro, cavate ancora quelle sante anime, che sono
nella vostra grazia ed amicizia, cavatele da quell'oscura prigione, che è
per loro una tomba oltre modo trista essendo ivi trattenute lontane da
Voi, che siete la loro vita, la loro speranza, il loro amore, la loro
felicità. Ricordatevi che Voi avete sparso per esse tutto il vostro
sangue. Se la vostra Maestà offesa non è ancora soddisfatta, prendete
nel ricco tesoro dei vostri meriti la soddisfazione che ancora esige la
vostra giustizia.
All'Offertorio.
Sebbene io non sia che una delle vostre creature soggette alla morte ed
al peccato, nulladimeno ho la consolazione di potervi offerire, o Dio
eterno e vivo, per le {147 [155]} mani del Sacerdote quest'ostia
immacolata, e questo calice prezioso, che devono fra breve essere
cangiati nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo, vostro Figlio diletto.
Ricevete, o Signore, questo augusto sacrifizio in odore di soavità, e
gradite che io unisca a questa santa offerta il sacrifizio del mio
corpo, dell'anima mia, de' miei beni, della vita mia, e di tutto quanto
mi appartiene. Santificate questo sacrifizio che vi presento unitamente a
quello del vostro divin Figliuolo, affinchè esso abbia la virtù di
muovere il vostro cuore in favore di quelle anime, le quali la purezza
vostra incompatibile, anche con le più leggiere macchié, ritiene ancor
lontane dalla dolce vostra presenza. Deh! piegatevi ad applicar loro
l'espiazione, che Gesù Cristo per esse vi offrì sulla croce: alla vista
dei grandi suoi patimenti, e di quel sangue che vi è sì caro, siate loro
propizio, o Signore; asciugate le loro lagrime, comandate al principe
del vostro esercito di andarle a liberare, e più non tardate ad
ammetterle a cantare le vostri lodi in quel regno da Voi promesso {148
[156]} ai vostri amanti. O buon Dio, rendete me pure a Voi fedele,
infiammatemi del vostro amore fino all'ultimo mio respiro, così che
impiegando tutta la mia vita quaggiù nel servirvi nell'amarvi, dopo la
morte non abbia a soffrire i dolori e i tormenti di quell'esiglio, dal
quale supplico a liberare quelle anime.
Al Lavabo.
Lavatemi, o Signore, nel sangue dell'Agnello, affinchè io purificato da
ogni macchia, e adorno della veste nuziale della grazia vostra, possa
rendere a Voi gradite le preghiere che vi porgo per le anime confinate
nel carcere del purgatorio, ed affinchè io pure possa essere ammesso un
giorno con loro alla bella festa, che a' vostri eletti Voi preparate in
cielo.
Al Prefazio.
E tempo, o anima mia, che t'innalzi al di sopra di tutte le cose
terrene, e ti sollevi {149 [157]} verso il cielo per apparecchiarti
degnamente al grande sacrifizio che sta per compiersi. Deh, voi
Redentore mio amabilissimo, traetemi a voi, e fate che io più non trovi
alcun piacere altrove che in Voi, non più alcuna gloria che nel servire a
Voi, non più altra felicità che nell'amar Voi di tutto cuore. Gradite
che io da questa terra unisca la mia debole voce ai divini concerti dei
beati Spiriti, e che da questo luogo di esiglio ripeta quell'inno, che
essi cantano continuamente nel soggiorno della gloria: Santo, Santo,
Santo è il Dio che noi adoriamo, il Signore, il Dio degli eserciti. E
poichè Voi stesso ci avete posto in mano i mezzi onde placare la vostra
giustizia, non solamente a favor mio, ma ancora in suffragio delle anime
dei nostri fratelli defunti, degnatevi mio Dio, d'accettare questi
omaggi di adorazione, questi cantici di gloria, acciocchè la mia
preghiera riesca efficace presso del vostro trono. {150 [158]}
Preghiera durante il Canone.
Noi Vi offriamo con profonda umiltà, o Dio onnipotente e principio di
ogni bene, i doni che sono presenti su questo altare, per le mani di
Gesù Cristo nostro Salvatore e primo Sacerdote. Fate che l'offerta che
egli fa di se stesso alla Maestà vostra sia una sorgente di grazie, e di
fortezza a tutti i fedeli sparsi sopra la terra, i quali ancora
combattono per la gloria del Cielo in mezzo alle tentazioni ed ai
pericoli di questa vita; sia di sollievo a quelli che già usciti dai
pericoli di questo mondo soffrono ancora per le ferite che riportarono
nelle spirituali battaglie quando erano sopra la terra.
All'elevazione dell'Ostia.
O Gesù mio Salvatore, vero Dio e vero uomo, io credo che voi siete
realmente presente in quest'Ostia sacrosanta. Io vi adoro di tutto
cuore: Voi siete il mio sovrano {151 [159]} Signore: Voi per me avete
data la vita. Possa io sacrificare la mia in compenso di avervi
obbligato coi miei peccati a sacrificare la vostra sull'albero della
croce.
All'elevazione del Calice.
O preziosissimo Sangue, che siete stato per noi sparso sul Calvario, io
vi adoro; mondatemi da ogni macchia, e inebbriatemi di amore celeste,
Gesù mio, io credo in Voi, realmente presente in questo calice, io spero
che esaudirete le mie preghiere; mentre io Vi ringrazio, ed a Voi mi
consacro per sempre.
Seguita il Canone.
L'offerta di una vittima così pura, che ha ad un tempo sopra di sè
tutti i nostri peccati, sacrificata a morte e risuscitata, sofferente e
gloriosa, che l'Eterno Sacerdote secondo l'ordine di Melchisedecco ci ha
{152 [160]} comandato di presentarvi per li vivi e pei defunti, ci
renda, o Signore, gradevoli agli occhi vostri, e ci ottenga
misericordia. Ce la ricuserete Voi, o Signore, questa misericordia,
quando per ottenerla noi Vi offriamo un sacrifizio infinitamente più
puro, infinitamente più meritorio di quelli, che un dì vi offrivano i
vostri santi patriarchi, ed i quali Voi tanto gradiste solo a riguardo
di questo sacrificio, di cui quelle offerte erano una figura? Noi dunque
nuovamente vi supplichiamo, Dio onnipotente, per questo vostro Figlio,
per questo nostro Avvocato, degno di essere da Voi esaudito, per questo
Angelo del consiglio, che voi inviaste sulla terra, affinchè fosse la
nostra Redenzione, e la nostra salute, d'applicare i frutti della sua
Passione e della sua morte a tutti i membri della vostra Chiesa.
Al memento dei morti.
Particolarmente pei nostri fratelli defunti noi Vi preghiamo, o sommo
Iddio di {153 [161]} misericordia. Deh! Eterno Padre, fate che la virtù
del sangue di Gesù Cristo penetri fin negli abissi dove si esercita la
vostra giustizia sopra quelle anime, le quali sebbene giuste non sono
ancora degne di possedervi. Questo prezioso sangue cada sopra di esse
qual rugiada benefica, che apporti loro refrigerio in mezzo a quelle
fiamme dentro a cui stanno gemendo, e liberate da quegli spaventosi
tormenti passino tosto nel luogo del riposo e dell'eterna pace. Voi
conoscete, o Signore, i fedeli, pei quali io intendo di supplicarvi in
modo particolare questa mattina; degnatevi di distinguerli pure
nell'applicazione che farete dei frutti del santo sacrifizio. Fate
ancora, o Signore, che noi dopo avere espiate quaggiù con una vita santa
e penitente le offese che abbiamo commesse per nostra sventura contro
di Voi, possiamo un dì essere uniti con queste anime da Voi amate
intorno al trono della vostra gloria, e così possiamo con esse celebrare
eternamente in Cielo le vostre misericordie. {154 [162]}
Al Pater noster.
Qual piacere non è mai il nostro, o Signore, nel potervi chiamare
nostro Padre! Questa è pure la più grande consolazione dei nostri
fratelli che soffrono nel purgatorio. Eglino di continuo tengono a Voi
rivolti gli occhi loro bagnati di lagrime, e stendono a Voi le loro mani
implorando l'aiuto, la misericordia del più buono dei padri. Eglino
meritano più che noi di essere ammessi nel novero dei figli vostri;
affrettatevi dunque a soccorrerli, o Signore.
Sia il nome vostro glorificato per mezzo di loro, come per mezzo
nostro; entrino essi al più presto nel vostro regno. La pazienza colla
quale sopportano le pene che loro infliggete tosto vi pieghi a cessare
dai colpi della vostra giustizia.
Date loro in questo giorno il pane che sì ardentemente desiderano; loro
concedete che dopo essere stati nutriti del pane del {155 [163]}
dolore, siano ristorati del pane vivificante che è il godimento di Voi
stesso, cui di continuo sospirano.
All'Agnus Dei.
Agnello di Dio, che col vostro sacrifizio avete meritata appresso al
Padre vostro la nostra riconciliazione, concedete a noi e ai nostri
fratelli defunti questa pace con Dio, che supera ogni pensiero, ogni
sentimento.
Agnello di Dio, vittima onnipotente, atterrate il muro di separazione
che ha posto il peccato tra voi e quelle anime, e fate loro risplendere
l'eterna luce.
Agnello di Dio, la cui misericordia è infinita, Voi che vi siete sulla
croce sacrificato per salvare i peccatori, volgete benigno uno sguardo
sopra quei fratelli nostri, che sono passati all'eternità col pentimento
dei loro peccati. Lasciatevi commuovere dalle nostre preghiere,
cancellate {156 [164]} quanto rimane delle loro macchie e fin d'ora
riceveteli nella società degli angeli vostri e dei santi.
Al Domine non sum dignus.
Ohimè! Gesù mio, è pur troppo vero, io non merito di ricevervi: chè ne
sono indegno pe' miei peccati. Io detesto però, mio Dio, tutti i miei
mancamenti, e vi prego di purificarmi colla vostra grazia, affinchè
possa aver parte nella comunione del vostro sagratissimo Corpo e del
vostro preziosissimo Sangue: e fate nel tempo stesso, che la vostra
misericordia non indugi più a lungo a farsi sentire sopra quelle anime,
che anelano a Voi.
Alla Comunione. Preghiera per la comunione spirituale.
O Gesù mio amabilissimo, poichè io non ho stamane la felicità di
cibarmi della {157 [165]} vostra carne adorabile, permettete che io vi
riceva almeno collo spirito e col desiderio, e che io mi unisca a Voi
per mezzo della fede, della speranza, della carità e perfetta
contrizione. Io credo in Voi, io vi amo con tutta l'anima mia; vorrei
trovarmi in istato di ricevervi nel mio cuore in quest'ostia sacrosanta
con tutta la santità che Voi da me desiderate. Con queste pie
disposizioni, che Voi stesso m'inspirate e che vi supplico di accrescere
sempre più nell'anima mia, nuovamente vi supplico, o Dio d'amore, di
porre un termine ai patimenti dei desolati miei fratelli, di aprir loro
le porte del regno celeste, e d'introdurli nella terra dei viventi.
Mentre il Sacerdote raccoglie le particelle dell'Ostia.
O generoso Salvatore, la più piccola parte delle vostre grazie è
infinitamente preziosa. Io non merito d'assidermi alla vostra mensa come
i vostri amici; ma {158 [166]} permettete almeno che io raccolga le
bricciole che ne cadono, come desiderava la Cananea; fate che io non
trascuri alcuna delle grazie vostre, perchè una tale trascuranza
potrebbe privarmene intieramente.
Fate ancora che i miei fratelli che soffrono in purgatorio, non abbiano
a patire alcun danno dai mille difetti che accompagnarono le mie
preghiere; ma abbiate solo riguardo ai meriti infiniti da Voi acquistati
per essi, e per me.
Alle ultime orazioni.
O Signore, Dio onnipotente, esaudite le preghiere che vi ho indirizzato
per le mani del vostro ministro in nome della vostra Chiesa, sotto gli
auspizi di una vittima di propiziazione, che vi sarà sempre
infinitamente gradita, e la cui volontaria immolazione cancella ogni
peccato nei cuori sinceramente pentiti. Colla vostra Chiesa, e pei
meriti del suo divin Capo noi prendiamo animo, o Signore, a fare {159
[167]} un ultimo sforzo, onde disarmare la vostra giustizia. Degnatevi
dunque, Dio mio, di accettare le suppliche della vostra Chiesa e insieme
con essa le soprabbondanti soddisfazioni offertevi dal vostro divin
Figliuolo, affinchè l'anima del vostro servo N. (o della vostra serva
N.) sia purificata da ogni macchia di peccato, contratta su questa terra
ed entri questo giorno medesimo nella patria dei Santi, per esservi
felice della stessa vostra felicità in eterno. Per mezzo di Gesù Cristo
vostro Figliuolo e Signor nostro. Così sia.
Al requieseant in pace.
Y. Date ai fedeli
defunti, o Signore, l'eterno riposo.
R. Fate loro
risplendere quella luce che più non si estingue.
Y. Per la
misericordia di Dio riposino essi in pace.
R. Così sia. {160 [168]}
All'ultimo Vangelo.
Al favore che vi domando unitamente alla vostra Chiesa, pei nostri
fratelli defunti, degnatevi di aggiungere ancora, o mio Dio, quello che
vi chiedo per me stesso. Concedetemi che io pensando a loro pensi anche
sulla mia morte, che verso di me si avanza a gran passo, pensi al
giudizio che deve seguirla ed all'eternità che dovrà succedere a quei
pochi giorni del mio pellegrinaggio su questa terra. Questo salutare
pensiero, tenendosi ognora presente al mio spirito, mi faccia espiare
con una sincera penitenza le offese che vi ha fatte; mi aiuti a
perseverare nella preghiera e nella vigilanza, onde evitare per
l'avvenire il peccato, e meritare di morire della morte dei giusti, la
cui morte non è che un dolce sonno seguito da un pronto risvegliarsi
presso di Voi nella gloriosa compagnia degli angeli e dei santi vostri.
Di tal favore io vi supplico per li meriti infiniti di Gesù Cristo {161
[169]} vostro Figliuolo, nostro Signore, che vive e regna con Voi e
collo Spirito Santo nella medesima unità divina per tutti i secoli de'
secoli. Così sia.
Istruzione sulla divina parola.
La predicazione della parola di Dio forma una parte del culto divino.
La s. Chiesa fin da principio stabilì, che nella s. Messa dopo il
Vangelo il sacerdote predicasse agli astanti: cosichè nei tempi
primitivi i cristiani non potevano adempiere l'obbligo di assistere alla
Messa nei giorni festivi senza ascoltare la divina parola. Benchè nei
tempi posteriori si introducesse l'uso di celebrare la s. Messa anche
nelle {162 [170]} feste di precetto senza predicarvi pure la Chiesa
raccomandò sempre mai a' suoi figliuoli di ascoltare la predica ogni
domenica o dì festivo[5].
E senza dubbio ogni cristiano, che sia alquanto sollecito della sua
eterna salvezza, troverà sempre un gusto particolare nel portarsi ai
sermoni ed alle istruzioni della Chiesa.
Chi è di Dio ascolta la parola di Dio, disse Gesù Cristo (S.
Giov. VIII, 47). La quotidiana esperienza ci mostra, che i negligenti
nel nudrirsi della parola di Dio per ordinario sono anche negligenti
nell'adempimento dei loro doveri: che anzi molti di essi sono perversi,
ed abbandonati intieramente ad ogni passione. La ragione ne è chiara.
Ogni cristiano, benchè già istruito nella sua religione, ha tuttavia
bisogno di mantenere continuamente viva {163 [171]} in sè la cognizione
delle verità della fede, di accrescere questa cognizione, e, quel che
più monta, di eccitare in sè la volontà di osservare tutta la legge di
Dio a fine di mettere in pratica i divini precetti e vivere in guisa da
meritarsi il paradiso. Onde se egli non procura continuamente di
ravvivare in sè la memoria de' suoi doveri e delle grandi verità che
muovono il cuore umano al bene operare, la volontà si raffredda, cade
nell'indifferenza, ed il cristiano vien meno di costanza, e cede agli
assalti delle passioni e del mondo. Non provvedendosi delle istruzioni
necessarie, i discorsi contro alla fede troveranno in lui accesso, e
quindi egli è nel pericolo di perdere la cosa più preziosa che sia sulla
terra, qual è la fede, e di vivere come se non fosse più un figlio
della Chiesa. Per costoro è un dovere lo ascoltare le istruzioni
religiose, perciocchè la stessa ragione ci insegna che ogni uomo deve
provvedere con tutti i mezzi possibili alla sua eterna salute. Inoltre
ogni cristiano deve procurare di dare buon esempio, al quale dovere {164
[172]} mancano coloro che non vanno mai alla predica. Il difetto poi di
edificazione è tanto più colpevole, quanto più uno ha influenza sovra
altri, come sarebbero per es. i genitori, le persone di condizione
elevata e tutti coloro che hanno qualche superiorità sugli altri.
Imperocchè è nella natura delle cose che i figliuoli imitino i genitori,
i fanciulli gli adulti, e tutti coloro che sono in grado inferiore
imitino la condotta dei superiori.
Dobbiamo poi ascoltare la predica coll'intenzione d'instruirci,
correggerci e santificarci, perciò dobbiamo ascoltarla con attenzione,
rispetto, e docilità. Quindi s. Francesco di Sales ci avverte di porgere
orecchio alla parola di Dio con quella docilità con cui la ascoltava la
Beatissima Vergine Maria la quale tutto ciò, che udiva dal
suo divin Figliuolo, conservava diligentemente nel proprio cuore.
Ricordati, che il Signore ascolta le parole che diciamo a lui nella
preghiera in proporzione che noi ascoltiamo le sue, quando egli ci parla
per bocca dei predicatori. Procuriamo nella {165 [173]} predica di
riconoscere noi stessi come dinanzi ad uno specchio; ed applichiamo a
noi le cose dette, non al nostro prossimo. Ad ogni predica facciamo una
qualche risoluzione da mettersi realmente in pratica o in quel dì, o in
quella settimana, o in altro tempo determinato. Perciò preghiamo il
Signore prima e dopo la predica, affinchè illumini la nostra mente, ci
tocchi il cuore, e dia forza alla volontà.
Preghiera prima della predica.
Venite, o santo Spirito, riempite i cuori dei vostri fedeli, ed
accendete in loro il fuoco del vostro divino amore. Voi che i popoli di
tutte le lingue adunaste nell'unità della fede, datemi grazia, ve ne
prego, che io non solo conosca le verità, ma ancora le prenda per regola
della mia condotta pratica. Fate sì, che io ammaestrato da voi segua le
massime di salute, e mi avanzi continuamente di virtù in virtù. {166
[174]} Illuminate e corroborate il vostro ministro, che sta per esporre
la vostra parola, fate che il buon seme del Vangelo, che egli spande,
cada su buon terreno e porti molto frutto, sicchè l'ignorante venga
istruito, l'errante sia condotto sulla buona via, il virtuoso si
raffermi nel bene, il peccatore si converta, l'afflitto riceva
consolazione, e tutti gli uditori ritornino alle case loro edificati e
migliorati. Benedite i buoni sentimenti, gli affetti, ed i proponimenti,
che mercè la vostra grazia si susciteranno e si formeranno ne' loro
cuori, cosichè essi non siano una cosa passeggiera, ma durevole sino
alla fine della vita. Così sia.
Preghiera dopo la predica.
Signore Iddio onnipotente, vi ringrazio dei lumi che la vostra parola
ha portato alla mia mente, e degli affetti che mi ha destato nel cuore.
Datemi grazia che essa produca in me un frutto centuplo, cosichè io
riporti piena vittoria sulle mie cattive {167 [175]} inclinazioni, e la
mia fede divenga sempre più operosa, l'amore a voi sempre più infiammato
ed efficace, la virtù sempre più perfetta e costante. Fate che io non
mi contenti solamente di conoscere la vostra dottrina, ma con una
fedeltà costante sino al termine della mia vita la metta in pratica.
Così sia.
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