Michele Damasceno, Divina Liturgia, Θεία Λειτουργία, XVI sec., Museo delle Icone e delle Sacre Reliquie dell'Arcidiocesi di Creta, Candia |
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julho
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sábado, 13 de julho de 2013
S. Alfonso Maria de Liguori, Del sacrificio di Gesù Cristo
Testo
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Testo
1. Quest'aggiunta del Sacrificio di Gesù Cristo confesso averla tratta ed epilogata da un'opera di un dotto autor francese.1 L'opera è alquanto piena e distesa; e perché può ella giovare non solo a' sacerdoti che celebrano la Messa, ma anche ad ognuno che vi assiste, perciò ho procurato di darne al pubblico
il seguente ristretto. Si è detto del Sacrificio di Gesù Cristo, perché quantunque da noi si distingue con diversi nomi, il sacrificio della croce dal sacrificio dell'altare, non di meno in sostanza è lo stesso, poiché la stessa è la vittima, e lo stesso è il sacerdote, che un giorno sagrificò se stesso nella croce, e solamente la ragion di offerire è diversa; sicché il sacrificio dell'altare è una continuazione o sia innovazione di quello della croce, solo nel modo di offerire diverso.2
2. Di questo sacrificio del nostro Redentore furono già figure tutti i sacrifici dell'antica legge, quali erano di quattro sorte: pacifici, eucaristici, espiatori ed impetratori. I sacrifici pacifici furono istituiti a rendere a Dio l'onore dovuto di adorazione come supremo Signore del tutto, e di tal sorta già erano gli olocausti. -Gli eucaristici erano diretti a ringraziare il Signore di tutti i benefici a noi concessi. -Gli espiatori furono ordinati ad impetrare il perdono de' peccati. Questa sorta di sacrifici era poi specialmente figurata nella festa dell'espiazione, colla figura del capro emissario, che veniva scacciato dal campo alla foresta, come carico di tutti i peccati degli ebrei, per esser colà divorato dalle fiere; e questo sacrificio fu una figura più espressa del sacrificio della croce, dove Gesù Cristo fu caricato di tutti i peccati degli uomini, come predisse Isaia: Et posuit Dominus in eo iniquitates omnium nostrum (Is. LIII, 6). E fu scacciato vituperosamente fuori di Gerusalemme, onde scrisse l'Apostolo: Exeamus igitur ad
eum extra castra, improperium eius portantes
(Hebr. XIII, 13). E poi fu abbandonato alle fiere, si intende a' Gentili, che lo crocifissero. -Finalmente i sacrifici impetratori erano ordinati affin di ottenere da Dio gli aiuti e le sue grazie.
3. Or tutti questi sacrifici non ebbero più luogo nella venuta del Redentore, poiché il solo sacrificio di Gesù Cristo, che fu perfetto, a differenza degli antichi ch'erano tutti imperfetti, bastò a soddisfare per tutti i peccati e ad impetrare agli uomini tutte le grazie. Quindi entrando egli nel mondo, disse: Hostiam et oblationes noluisti, corpus autem aptasti mihi. Holocautomata pro peccato non tibi placuerunt. Tunc dixi: Ecce venio: in capite libri scriptum est de me: ut faciam, Deus, voluntatem tuam (Hebr. X, 5 ad 8). E così noi con offerire a Dio il sacrificio di Gesù Cristo veniamo a compire tutti i nostri doveri, ed a riparare a tutti i nostri bisogni; e così insieme veniamo a conservare un santo commercio fra noi e Dio.
4. In oltre bisogna intendere che nell'antica legge a rispetto della vittima che dovea essere offerta a Dio, richiedevansi cinque condizioni, per le quali ella rendeasi degna di Dio; e queste erano la santificazione, l'oblazione, l'immolazione, la consumazione e la participazione.
Per I. La vittima dovea esser santificata, o sia consagrata a Dio, affinché non gli fosse offerta una cosa non santa, e perciò indegna della sua divina maestà. Pertanto l'animale destinato per vittima doveva essere esente da ogni macchia o difetto, sicché non fosse né cieco, né zoppo, né debole, né deforme, come tutto stava prescritto nel Deuteronomio (Cap. XV, n. 21). E con ciò fu dinotato in primo luogo che tale sarebbe stato l'agnello divino di Dio promesso, che doveva esser sacrificato per la salute del mondo, santo e libero da ogni difetto. In secondo luogo con tal precetto fummo noi ammaestrati che le nostre orazioni o altre opere sante, non sono degne di essere offerte a Dio, o che non sono almeno pienamente da lui gradite, se sono macchiate da qualche difetto. In oltre l'animale offerto al Signore non poteva essere applicato più a qualche uso profano; ed era quello talmente riguardato come cosa a Dio consacrata, che non potea toccarlo altri che il solo sacerdote della legge. Il che dinota quanto dispiace a Dio che le persone a lui consacrate sieno senza necessità precisa applicate
a negozi del secolo, e perciò vivono poi distratti e negligenti negli affari di gloria di Dio.
5. Per II. La vittima doveva essere offerta a Dio; il che faceasi con alcune parole da Dio stesso prescritte.
Per III. Doveva la vittima esser immolala o sia uccisa; ma questa immolazione non si faceva in tutti i sacrifici colla morte; per esempio il sacrificio de' pani di proposizione si facea senza fuoco e senza ferro, ma solo col calore dello stomaco delle persone che ne mangiavano.
6. Per IV. Dovea la vittima esser consumata, il che faceasi col fuoco; e perciò questo sacrificio chiamavasi infiammazione. Precisamente il sacrificio dell'olocausto si facea sempre col fuoco, poiché con quella consumazione della vittima si dava ad intendere il potere assoluto che ha Dio sovra tutte le creature; e che siccome egli le ha tratte dal niente, così può di nuovo al niente ridurle. E questo in verità è l'intento principale del sacrificio, di riguardare Dio come un essere sovrano, talmente superiore ad ogni cosa, che tutte le cose davanti a lui sono un nulla; poiché ogni cosa è inutile a colui che in se stesso possiede il tutto. Il fumo poi che saliva diritto in alto da questo sacrificio dinotava che Dio lo accettava in odore di soavità, cioè con gradimento, come sta scritto del sacrificio di Noè; Noe... obtulit holocausta super altare, odoratusque est Dominus odorem suavitatis (Gen. VIII, [20], 21).
7. Per V. Tutto il popolo anticamente insieme col sacerdote dovea partecipar della vittima; e perciò, eccettuato quello dell'olocausto, negli altri sacrifici la vittima si divideva in tre parti, una al sacerdote, l'altra al popolo, la terza si dava al fuoco, come porzione spettante a Dio, per la quale figuravasi ch'egli in tal modo comunicava con tutti gli altri che partecipavano della vittima. Tutte queste cinque mentovate condizioni ben si adempivano nel sacrificio dell'agnello pasquale, a riguardo del quale il Signore ordinò a Mosè nell'Esodo (al cap. 12) che nel decimo giorno della luna di quel mese, in cui aveva egli liberati gli ebrei dalla schiavitù di Egitto, prendessero e separassero dalla greggia un agnello di un anno, che fosse senza difetto e senza macchia. E questa separazione significava per 1, che quella vittima restava consacrata a Dio. Per 2, a questa consagrazione succedeva l'oblazione che si facea nel tempio, dove gli si presentava l'agnello. Per 3, nel giorno 14
poi della luna succedea l'immolazione con uccidersi l'agnello. Per 4, l'agnello si arrostiva, e poi si divideva tra i partecipanti, e questa era la partecipazione o sia comunione. Per 5, dopo che l'agnello era stato mangiato da' partecipanti, gli avanzi si consumavano nello stesso fuoco, e questa era finalmente la consumazione del sacrificio.
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