Michele Damasceno, Divina Liturgia, Θεία Λειτουργία, XVI sec., Museo delle Icone e delle Sacre Reliquie dell'Arcidiocesi di Creta, Candia |
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sábado, 21 de dezembro de 2013
BENEDETTO XVI: la prima esigenza per una buona celebrazione liturgica è che sia preghiera, colloquio con Dio, anzitutto ascolto e quindi risposta.
BENEDETTO XVI: Ogni giorno deve crescere in noi la convinzione che la liturgia non è un nostro, un mio «fare», ma è azione di Dio in noi e con noi.
Cari fratelli e sorelle,
nella scorsa catechesi ho iniziato a parlare di una delle fonti privilegiate della preghiera cristiana: la sacra liturgia, che - come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica - è «partecipazione alla preghiera di Cristo, rivolta al Padre nello Spirito Santo. Nella liturgia ogni preghiera cristiana trova la sua sorgente e il suo termine» (n. 1073).
Oggi vorrei che ci chiedessimo: nella mia vita, riservo uno spazio sufficiente alla preghiera e, soprattutto, che posto ha nel mio rapporto con Dio la preghiera liturgica, specie la Santa Messa, come partecipazione alla preghiera comune del Corpo di Cristo che è la Chiesa?
Nel rispondere a questa domanda dobbiamo ricordare anzitutto che la preghiera è la relazione vivente dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo (cfr ibid., 2565). Quindi la vita di preghiera consiste nell’essere abitualmente alla presenza di Dio e averne coscienza, nel vivere in relazione con Dio come si vivono i rapporti abituali della nostra vita, quelli con i familiari più cari, con i veri amici; anzi quella con il Signore è la relazione che dona luce a tutte le altre nostre relazioni. Questa comunione di vita con Dio, Uno e Trino, è possibile perché per mezzo del Battesimo siamo stati inseriti in Cristo, abbiamo iniziato ad essere una sola cosa con Lui (cfr Rm 6,5).
In effetti, solo in Cristo possiamo dialogare con Dio Padre come figli, altrimenti non è possibile, ma in comunione col Figlio possiamo anche dire noi come ha detto Lui: «Abbà». In comunione con Cristo possiamo conoscere Dio come Padre vero (cfr Mt 11,27).
Per questo la preghiera cristiana consiste nel guardare costantemente e in maniera sempre nuova a Cristo, parlare con Lui, stare in silenzio con Lui, ascoltarlo, agire e soffrire con Lui. Il cristiano riscopre la sua vera identità in Cristo, «primogenito di ogni creatura», nel quale sussistono tutte le cose (cfr Col 1,15ss). Nell’identificarmi con Lui, nell’essere una cosa sola con Lui, riscopro la mia identità personale, quella di vero figlio che guarda a Dio come a un Padre pieno di amore.
Ma non dimentichiamo: Cristo lo scopriamo, lo conosciamo come Persona vivente, nella Chiesa. Essa è il «suo Corpo». Tale corporeità può essere compresa a partire dalle parole bibliche sull’uomo e sulla donna: i due saranno una carne sola (cfr Gn 2,24; Ef 5,30ss.; 1 Cor 6,16s). Il legame inscindibile tra Cristo e la Chiesa, attraverso la forza unificante dell’amore, non annulla il «tu» e l’«io», bensì li innalza alla loro unità più profonda.
Trovare la propria identità in Cristo significa giungere a una comunione con Lui, che non mi annulla, ma mi eleva alla dignità più alta, quella di figlio di Dio in Cristo: «la storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più» (Enc. Deus caritas est, 17). Pregare significa elevarsi all’altezza di Dio, mediante una necessaria graduale trasformazione del nostro essere.
Così, partecipando alla liturgia, facciamo nostra la lingua della madre Chiesa, apprendiamo a parlare in essa e per essa. Naturalmente, come ho già detto, questo avviene in modo graduale, poco a poco. Devo immergermi progressivamente nelle parole della Chiesa, con la mia preghiera, con la mia vita, con la mia sofferenza, con la mia gioia, con il mio pensiero. E’ un cammino che ci trasforma.
Penso allora che queste riflessioni ci permettano di rispondere alla domanda che ci siamo fatti all’inizio: come imparo a pregare, come cresco nella mia preghiera? Guardando al modello che ci ha insegnato Gesù, il Padre nostro, noi vediamo che la prima parola è «Padre» e la seconda è «nostro».
La risposta, quindi, è chiara: apprendo a pregare, alimento la mia preghiera, rivolgendomi a Dio come Padre e pregando-con-altri, pregando con la Chiesa, accettando il dono delle sue parole, che mi diventano poco a poco familiari e ricche di senso. Il dialogo che Dio stabilisce con ciascuno di noi, e noi con Lui, nella preghiera include sempre un «con»; non si può pregare Dio in modo individualista. Nella preghiera liturgica, soprattutto l’Eucaristia, e - formati dalla liturgia - in ogni preghiera, non parliamo solo come singole persone, bensì entriamo nel «noi» della Chiesa che prega. E dobbiamo trasformare il nostro «io» entrando in questo «noi».
Vorrei richiamare un altro aspetto importante. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo: «Nella liturgia della Nuova Alleanza, ogni azione liturgica, specialmente la celebrazione dell’Eucaristia e dei sacramenti, è un incontro tra Cristo e la Chiesa» (n. 1097); quindi è il «Cristo totale», tutta la Comunità, il Corpo di Cristo unito al suo Capo che celebra.
La liturgia allora non è una specie di «auto-manifestazione» di una comunità, ma è invece l’uscire dal semplice «essere-se-stessi», essere chiusi in se stessi, e l’accedere al grande banchetto, l’entrare nella grande comunità vivente, nella quale Dio stesso ci nutre. La liturgia implica universalità e questo carattere universale deve entrare sempre di nuovo nella consapevolezza di tutti. La liturgia cristiana è il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. E’ il culto del cielo aperto.
Non è mai solamente l’evento di una comunità singola, con una sua collocazione nel tempo e nello spazio. E’ importante che ogni cristiano si senta e sia realmente inserito in questo «noi» universale, che fornisce il fondamento e il rifugio all’«io», nel Corpo di Cristo che è la Chiesa.
In questo dobbiamo tenere presente e accettare la logica dell’incarnazione di Dio: Egli si è fatto vicino, presente, entrando nella storia e nella natura umana, facendosi uno di noi. E questa presenza continua nella Chiesa, suo Corpo.
La liturgia allora non è il ricordo di eventi passati, ma è la presenza viva del Mistero Pasquale di Cristo che trascende e unisce i tempi e gli spazi. Se nella celebrazione non emerge la centralità di Cristo non avremo liturgia cristiana, totalmente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza creatrice. Dio agisce per mezzo di Cristo e noi non possiamo agire che per mezzo suo e in Lui. Ogni giorno deve crescere in noi la convinzione che la liturgia non è un nostro, un mio «fare», ma è azione di Dio in noi e con noi.
Quindi, non è il singolo - sacerdote o fedele - o il gruppo che celebra la liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. Questa universalità ed apertura fondamentale, che è propria di tutta la liturgia, è una delle ragioni per cui essa non può essere ideata o modificata dalla singola comunità o dagli esperti, ma deve essere fedele alle forme della Chiesa universale.
Anche nella liturgia della più piccola comunità è sempre presente la Chiesa intera. Per questo non esistono «stranieri» nella comunità liturgica. In ogni celebrazione liturgica partecipa assieme tutta la Chiesa, cielo e terra, Dio e gli uomini. La liturgia cristiana, anche se si celebra in un luogo e uno spazio concreto ed esprime il «sì» di una determinata comunità, è per sua natura cattolica, proviene dal tutto e conduce al tutto, in unità con il Papa, con i Vescovi, con i credenti di tutte le epoche e di tutti i luoghi. Quanto più una celebrazione è animata da questa coscienza, tanto più fruttuosamente in essa si realizza il senso autentico della liturgia.
Cari amici, la Chiesa si rende visibile in molti modi: nell’azione caritativa, nei progetti di missione, nell’apostolato personale che ogni cristiano deve realizzare nel proprio ambiente. Però il luogo in cui la si sperimenta pienamente come Chiesa è nella liturgia: essa è l’atto nel quale crediamo che Dio entra nella nostra realtà e noi lo possiamo incontrare, lo possiamo toccare. È l’atto nel quale entriamo in contatto con Dio: Egli viene a noi, e noi siamo illuminati da Lui. Per questo, quando nelle riflessioni sulla liturgia noi centriamo la nostra attenzione soltanto su come renderla attraente, interessante bella, rischiamo di dimenticare l’essenziale: la liturgia si celebra per Dio e non per noi stessi; è opera sua; è Lui il soggetto; e noi dobbiamo aprirci a Lui e lasciarci guidare da Lui e dal suo Corpo che è la Chiesa.
Chiediamo al Signore di imparare ogni giorno a vivere la sacra liturgia, specialmente la Celebrazione eucaristica, pregando nel «noi» della Chiesa, che dirige il suo sguardo non a se stessa, ma a Dio, e sentendoci parte della Chiesa vivente di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Grazie.
BENEDETTO XVI: la liturgia, che è un ambito privilegiato nel quale Dio parla a ciascuno di noi, qui ed ora, e attende la nostra risposta.
La Liturgia, scuola di preghiera: il Signore stesso ci insegna a pregare
in questi mesi abbiamo compiuto un cammino alla luce della Parola di Dio, per imparare a pregare in modo sempre più autentico guardando ad alcune grandi figure dell’Antico Testamento, ai Salmi, alle Lettere di san Paolo e all’Apocalisse, ma soprattutto guardando all’esperienza unica e fondamentale di Gesù, nel suo rapporto con il Padre celeste.
In realtà, solo in Cristo l’uomo è reso capace di unirsi a Dio con la profondità e la intimità di un figlio nei confronti di un padre che lo ama, solo in Lui noi possiamo rivolgerci in tutta verità a Dio chiamandolo con affetto “Abbà! Padre!”. Come gli Apostoli, anche noi abbiamo ripetuto in queste settimane e ripetiamo a Gesù oggi: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1).
Inoltre, per apprendere a vivere ancora più intensamente la relazione personale con Dio abbiamo imparato a invocare lo Spirito Santo, primo dono del Risorto ai credenti, perché è Lui che «viene in aiuto alla nostra debolezza: da noi non sappiamo come pregare in modo conveniente» (Rm 8,26), dice san Paolo, e noi sappiamo come abbia ragione.
A questo punto, dopo una lunga serie di catechesi sulla preghiera nella Scrittura, possiamo domandarci: come posso io lasciarmi formare dallo Spirito Santo e così divenire capace di entrare nell'atmosfera di Dio, di pregare con Dio? Qual è questa scuola nella quale Egli mi insegna a pregare, viene in aiuto alla mia fatica di rivolgermi in modo giusto a Dio?
La prima scuola per la preghiera - lo abbiamo visto in queste settimane - è la Parola di Dio, la Sacra Scrittura. La Sacra Scrittura è un permanente dialogo tra Dio e l'uomo, un dialogo progressivo nel quale Dio si mostra sempre più vicino, nel quale possiamo conoscere sempre meglio il suo volto, la sua voce, il suo essere; e l'uomo impara ad accettare di conoscere Dio, a parlare con Dio. Quindi, in queste settimane, leggendo la Sacra Scrittura, abbiamo cercato, dalla Scrittura, da questo dialogo permanente, di imparare come possiamo entrare in contatto con Dio.
C’è ancora un altro prezioso «spazio», un’altra preziosa «fonte» per crescere nella preghiera, una sorgente di acqua viva in strettissima relazione con la precedente. Mi riferisco alla liturgia, che è un ambito privilegiato nel quale Dio parla a ciascuno di noi, qui ed ora, e attende la nostra risposta.
Che cos’è la liturgia? Se apriamo il Catechismo della Chiesa Cattolica - sussidio sempre prezioso, direi indispensabile – possiamo leggere che originariamente la parola «liturgia» significa «servizio da parte del popolo e in favore del popolo» (n. 1069). Se la teologia cristiana prese questo vocabolo del mondo greco, lo fece ovviamente pensando al nuovo Popolo di Dio nato da Cristo che ha aperto le sue braccia sulla Croce per unire gli uomini nella pace dell’unico Dio. «Servizio in favore del popolo», un popolo che non esiste da sé, ma che si è formato grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di Dio non esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre dall’opera del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci ottiene.
Il Catechismo indica inoltre che «nella tradizione cristiana (la parola “liturgia”) vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio» (n. 1069), perché il popolo di Dio come tale esiste solo per opera di Dio.
Questo ce lo ha ricordato lo sviluppo stesso del Concilio Vaticano II, che iniziò i suoi lavori, cinquant’anni orsono, con la discussione dello schema sulla sacra liturgia, approvato poi solennemente il 4 dicembre del 1963, il primo testo approvato dal Concilio.
Che il documento sulla liturgia fosse il primo risultato dell’assemblea conciliare forse fu ritenuto da alcuni un caso. Tra tanti progetti, il testo sulla sacra liturgia sembrò essere quello meno controverso, e, proprio per questo, capace di costituire come una specie di esercizio per apprendere la metodologia del lavoro conciliare.
Ma senza alcun dubbio, ciò che a prima vista può sembrare un caso, si è dimostrata la scelta più giusta, anche a partire dalla gerarchia dei temi e dei compiti più importanti della Chiesa. Iniziando, infatti, con il tema della «liturgia» il Concilio mise in luce in modo molto chiaro il primato di Dio, la sua priorità assoluta. Prima di tutto Dio: proprio questo ci dice la scelta conciliare di partire dalla liturgia. Dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento. Il criterio fondamentale per la liturgia è il suo orientamento a Dio, per poter così partecipare alla sua stessa opera.
Però possiamo chiederci: qual è questa opera di Dio alla quale siamo chiamati a partecipare? La risposta che ci offre la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia è apparentemente doppia. Al numero 5 ci indica, infatti, che l’opera di Dio sono le sue azioni storiche che ci portano la salvezza, culminate nella Morte e Risurrezione di Gesù Cristo; ma al numero 7 la stessa Costituzione definisce proprio la celebrazione della liturgia come «opera di Cristo». In realtà questi due significati sono inseparabilmente legati. Se ci chiediamo chi salva il mondo e l’uomo, l’unica risposta è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si rende attuale per noi, per me oggi il Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? La risposta è: nell’azione di Cristo attraverso la Chiesa, nella liturgia, in particolare nel Sacramento dell’Eucaristia, che rende presente l’offerta sacrificale del Figlio di Dio, che ci ha redenti; nel Sacramento della Riconciliazione, in cui si passa dalla morte del peccato alla vita nuova; e negli altri atti sacramentali che ci santificano (cfr Presbyterorum ordinis, 5). Così, il Mistero Pasquale della Morte e Risurrezione di Cristo è il centro della teologia liturgica del Concilio.
Facciamo un altro passo in avanti e chiediamoci: in che modo si rende possibile questa attualizzazione del Mistero Pasquale di Cristo? Il beato Papa Giovanni Paolo II, a 25 anni dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, scrisse: «Per attualizzare il suo Mistero Pasquale, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni liturgiche. La liturgia è, di conseguenza, il luogo privilegiato dell’incontro dei cristiani con Dio e con colui che Egli inviò, Gesù Cristo (cfr Gv 17,3)»(Vicesimus quintus annus, n. 7).
Sulla stessa linea, leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica così: «Ogni celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il loro Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, e tale incontro si esprime come un dialogo, attraverso azioni e parole» (n. 1153).
Pertanto la prima esigenza per una buona celebrazione liturgica è che sia preghiera, colloquio con Dio, anzitutto ascolto e quindi risposta. San Benedetto, nella sua «Regola», parlando della preghiera dei Salmi, indica ai monaci: mens concordet voci, « la mente concordi con la voce». Il Santo insegna che nella preghiera dei Salmi le parole devono precedere la nostra mente.
Abitualmente non avviene così, prima dobbiamo pensare e poi quanto abbiamo pensato si converte in parola. Qui invece, nella liturgia, è l'inverso, la parola precede. Dio ci ha dato la parola e la sacra liturgia ci offre le parole; noi dobbiamo entrare all'interno delle parole, nel loro significato, accoglierle in noi, metterci noi in sintonia con queste parole; così diventiamo figli di Dio, simili a Dio. Come ricorda la Sacrosanctum Concilium, per assicurare la piena efficacia della celebrazione «è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione di animo, pongano la propria anima in consonanza con la propria voce e collaborino con la divina grazia per non riceverla invano» (n. 11). Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore. Entrando nelle parole della grande storia della preghiera noi stessi siamo conformati allo spirito di queste parole e diventiamo capaci di parlare con Dio.
In questa linea, vorrei solo accennare ad uno dei momenti che, durante la stessa liturgia, ci chiama e ci aiuta a trovare tale concordanza, questo conformarci a ciò che ascoltiamo, diciamo e facciamo nella celebrazione della liturgia. Mi riferisco all’invito che formula il Celebrante prima della Preghiera Eucaristica: «Sursum corda», innalziamo i nostri cuori al di fuori del groviglio delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angustie, della nostra distrazione.
Il nostro cuore, l’intimo di noi stessi, deve aprirsi docilmente alla Parola di Dio e raccogliersi nella preghiera della Chiesa, per ricevere il suo orientamento verso Dio dalle parole stesse che ascolta e dice. Lo sguardo del cuore deve dirigersi al Signore, che sta in mezzo a noi: è una disposizione fondamentale.Quando viviamo la liturgia con questo atteggiamento di fondo, il nostro cuore è come sottratto alla forza di gravità, che lo attrae verso il basso, e si leva interiormente verso l’alto, verso la verità, verso l’amore, verso Dio. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel cuore che prega. I Padri della vita spirituale talvolta paragonano il cuore a un altare» (n. 2655): altare Dei est cor nostrum.
Cari amici, celebriamo e viviamo bene la liturgia solo se rimaniamo in atteggiamento orante, non se vogliamo “fare qualcosa”, farci vedere o agire, ma se orientiamo il nostro cuore a Dio e stiamo in atteggiamento di preghiera unendoci al Mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio con il Padre.
In realtà, solo in Cristo l’uomo è reso capace di unirsi a Dio con la profondità e la intimità di un figlio nei confronti di un padre che lo ama, solo in Lui noi possiamo rivolgerci in tutta verità a Dio chiamandolo con affetto “Abbà! Padre!”. Come gli Apostoli, anche noi abbiamo ripetuto in queste settimane e ripetiamo a Gesù oggi: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1).
Inoltre, per apprendere a vivere ancora più intensamente la relazione personale con Dio abbiamo imparato a invocare lo Spirito Santo, primo dono del Risorto ai credenti, perché è Lui che «viene in aiuto alla nostra debolezza: da noi non sappiamo come pregare in modo conveniente» (Rm 8,26), dice san Paolo, e noi sappiamo come abbia ragione.
A questo punto, dopo una lunga serie di catechesi sulla preghiera nella Scrittura, possiamo domandarci: come posso io lasciarmi formare dallo Spirito Santo e così divenire capace di entrare nell'atmosfera di Dio, di pregare con Dio? Qual è questa scuola nella quale Egli mi insegna a pregare, viene in aiuto alla mia fatica di rivolgermi in modo giusto a Dio?
La prima scuola per la preghiera - lo abbiamo visto in queste settimane - è la Parola di Dio, la Sacra Scrittura. La Sacra Scrittura è un permanente dialogo tra Dio e l'uomo, un dialogo progressivo nel quale Dio si mostra sempre più vicino, nel quale possiamo conoscere sempre meglio il suo volto, la sua voce, il suo essere; e l'uomo impara ad accettare di conoscere Dio, a parlare con Dio. Quindi, in queste settimane, leggendo la Sacra Scrittura, abbiamo cercato, dalla Scrittura, da questo dialogo permanente, di imparare come possiamo entrare in contatto con Dio.
C’è ancora un altro prezioso «spazio», un’altra preziosa «fonte» per crescere nella preghiera, una sorgente di acqua viva in strettissima relazione con la precedente. Mi riferisco alla liturgia, che è un ambito privilegiato nel quale Dio parla a ciascuno di noi, qui ed ora, e attende la nostra risposta.
Che cos’è la liturgia? Se apriamo il Catechismo della Chiesa Cattolica - sussidio sempre prezioso, direi indispensabile – possiamo leggere che originariamente la parola «liturgia» significa «servizio da parte del popolo e in favore del popolo» (n. 1069). Se la teologia cristiana prese questo vocabolo del mondo greco, lo fece ovviamente pensando al nuovo Popolo di Dio nato da Cristo che ha aperto le sue braccia sulla Croce per unire gli uomini nella pace dell’unico Dio. «Servizio in favore del popolo», un popolo che non esiste da sé, ma che si è formato grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di Dio non esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre dall’opera del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci ottiene.
Il Catechismo indica inoltre che «nella tradizione cristiana (la parola “liturgia”) vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio» (n. 1069), perché il popolo di Dio come tale esiste solo per opera di Dio.
Questo ce lo ha ricordato lo sviluppo stesso del Concilio Vaticano II, che iniziò i suoi lavori, cinquant’anni orsono, con la discussione dello schema sulla sacra liturgia, approvato poi solennemente il 4 dicembre del 1963, il primo testo approvato dal Concilio.
Che il documento sulla liturgia fosse il primo risultato dell’assemblea conciliare forse fu ritenuto da alcuni un caso. Tra tanti progetti, il testo sulla sacra liturgia sembrò essere quello meno controverso, e, proprio per questo, capace di costituire come una specie di esercizio per apprendere la metodologia del lavoro conciliare.
Ma senza alcun dubbio, ciò che a prima vista può sembrare un caso, si è dimostrata la scelta più giusta, anche a partire dalla gerarchia dei temi e dei compiti più importanti della Chiesa. Iniziando, infatti, con il tema della «liturgia» il Concilio mise in luce in modo molto chiaro il primato di Dio, la sua priorità assoluta. Prima di tutto Dio: proprio questo ci dice la scelta conciliare di partire dalla liturgia. Dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento. Il criterio fondamentale per la liturgia è il suo orientamento a Dio, per poter così partecipare alla sua stessa opera.
Però possiamo chiederci: qual è questa opera di Dio alla quale siamo chiamati a partecipare? La risposta che ci offre la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia è apparentemente doppia. Al numero 5 ci indica, infatti, che l’opera di Dio sono le sue azioni storiche che ci portano la salvezza, culminate nella Morte e Risurrezione di Gesù Cristo; ma al numero 7 la stessa Costituzione definisce proprio la celebrazione della liturgia come «opera di Cristo». In realtà questi due significati sono inseparabilmente legati. Se ci chiediamo chi salva il mondo e l’uomo, l’unica risposta è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si rende attuale per noi, per me oggi il Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? La risposta è: nell’azione di Cristo attraverso la Chiesa, nella liturgia, in particolare nel Sacramento dell’Eucaristia, che rende presente l’offerta sacrificale del Figlio di Dio, che ci ha redenti; nel Sacramento della Riconciliazione, in cui si passa dalla morte del peccato alla vita nuova; e negli altri atti sacramentali che ci santificano (cfr Presbyterorum ordinis, 5). Così, il Mistero Pasquale della Morte e Risurrezione di Cristo è il centro della teologia liturgica del Concilio.
Facciamo un altro passo in avanti e chiediamoci: in che modo si rende possibile questa attualizzazione del Mistero Pasquale di Cristo? Il beato Papa Giovanni Paolo II, a 25 anni dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, scrisse: «Per attualizzare il suo Mistero Pasquale, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni liturgiche. La liturgia è, di conseguenza, il luogo privilegiato dell’incontro dei cristiani con Dio e con colui che Egli inviò, Gesù Cristo (cfr Gv 17,3)»(Vicesimus quintus annus, n. 7).
Sulla stessa linea, leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica così: «Ogni celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il loro Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, e tale incontro si esprime come un dialogo, attraverso azioni e parole» (n. 1153).
Pertanto la prima esigenza per una buona celebrazione liturgica è che sia preghiera, colloquio con Dio, anzitutto ascolto e quindi risposta. San Benedetto, nella sua «Regola», parlando della preghiera dei Salmi, indica ai monaci: mens concordet voci, « la mente concordi con la voce». Il Santo insegna che nella preghiera dei Salmi le parole devono precedere la nostra mente.
Abitualmente non avviene così, prima dobbiamo pensare e poi quanto abbiamo pensato si converte in parola. Qui invece, nella liturgia, è l'inverso, la parola precede. Dio ci ha dato la parola e la sacra liturgia ci offre le parole; noi dobbiamo entrare all'interno delle parole, nel loro significato, accoglierle in noi, metterci noi in sintonia con queste parole; così diventiamo figli di Dio, simili a Dio. Come ricorda la Sacrosanctum Concilium, per assicurare la piena efficacia della celebrazione «è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione di animo, pongano la propria anima in consonanza con la propria voce e collaborino con la divina grazia per non riceverla invano» (n. 11). Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore. Entrando nelle parole della grande storia della preghiera noi stessi siamo conformati allo spirito di queste parole e diventiamo capaci di parlare con Dio.
In questa linea, vorrei solo accennare ad uno dei momenti che, durante la stessa liturgia, ci chiama e ci aiuta a trovare tale concordanza, questo conformarci a ciò che ascoltiamo, diciamo e facciamo nella celebrazione della liturgia. Mi riferisco all’invito che formula il Celebrante prima della Preghiera Eucaristica: «Sursum corda», innalziamo i nostri cuori al di fuori del groviglio delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angustie, della nostra distrazione.
Il nostro cuore, l’intimo di noi stessi, deve aprirsi docilmente alla Parola di Dio e raccogliersi nella preghiera della Chiesa, per ricevere il suo orientamento verso Dio dalle parole stesse che ascolta e dice. Lo sguardo del cuore deve dirigersi al Signore, che sta in mezzo a noi: è una disposizione fondamentale.Quando viviamo la liturgia con questo atteggiamento di fondo, il nostro cuore è come sottratto alla forza di gravità, che lo attrae verso il basso, e si leva interiormente verso l’alto, verso la verità, verso l’amore, verso Dio. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel cuore che prega. I Padri della vita spirituale talvolta paragonano il cuore a un altare» (n. 2655): altare Dei est cor nostrum.
Cari amici, celebriamo e viviamo bene la liturgia solo se rimaniamo in atteggiamento orante, non se vogliamo “fare qualcosa”, farci vedere o agire, ma se orientiamo il nostro cuore a Dio e stiamo in atteggiamento di preghiera unendoci al Mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio con il Padre.
Dio stesso ci insegna a pregare, afferma san Paolo (cfr Rm 8,26). Egli stesso ci ha dato le parole adeguate per dirigerci a Lui, parole che incontriamo nel Salterio, nelle grandi orazioni della sacra liturgia e nella stessa Celebrazione eucaristica. Preghiamo il Signore di essere ogni giorno più consapevoli del fatto che la Liturgia è azione di Dio e dell’uomo; preghiera che sgorga dallo Spirito Santo e da noi, interamente rivolta al Padre, in unione con il Figlio di Dio fatto uomo (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2564). Grazie.
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BENEDETTO XVI: Nel Natale, il Figlio di Dio nasce ancora «oggi», Dio è veramente vicino a ciascuno di noi e vuole incontrarci, vuole portarci a Lui.
UDIENZA GENERALE: VIDEO INTEGRALE
CATECHESI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA
Il Santo NataleCari fratelli e sorelle,
Sono lieto di accogliervi in Udienza generale a pochi giorni dalla celebrazione del Natale del Signore. Il saluto che corre in questi giorni sulle labbra di tutti è "Buon Natale! Auguri di buone feste natalizie!". Facciamo in modo che, anche nella società attuale, lo scambio degli auguri non perda il suo profondo valore religioso, e la festa non venga assorbita dagli aspetti esteriori, che toccano le corde del cuore. Certamente, i segni esterni sono belli e importanti, purché non ci distolgano, ma piuttosto ci aiutino a vivere il Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano, in modo che anche la nostra gioia non sia superficiale, ma profonda.
Con la liturgia natalizia la Chiesa ci introduce nel grande Mistero dell’Incarnazione. Il Natale, infatti, non è un semplice anniversario della nascita di Gesù, è anche questo, ma è di più, è celebrare un Mistero che ha segnato e continua a segnare la storia dell’uomo – Dio stesso è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14), si è fatto uno di noi -; un Mistero che interessa la nostra fede e la nostra esistenza; un Mistero che viviamo concretamente nelle celebrazioni liturgiche, in particolare nella Santa Messa. Qualcuno potrebbe chiedersi: come è possibile che io viva adesso questo evento così lontano nel tempo? Come posso prendere parte fruttuosamente alla nascita del Figlio di Dio avvenuta più di duemila anni fa? Nella Santa Messa della Notte di Natale, ripeteremo come ritornello al Salmo Responsoriale queste parole: «Oggi è nato per noi il Salvatore».
Questo avverbio di tempo, «oggi», ricorre più volte in tutte le celebrazioni natalizie ed è riferito all’evento della nascita di Gesù e alla salvezza che l’Incarnazione del Figlio di Dio viene a portare. Nella Liturgia tale avvenimento oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo e diventa attuale, presente; il suo effetto perdura, pur nello scorrere dei giorni, degli anni e dei secoli. Indicando che Gesù nasce «oggi», la Liturgia non usa una frase senza senso, ma sottolinea che questa Nascita investe e permea tutta la storia, rimane una realtà anche oggi alla quale possiamo arrivare proprio nella liturgia.
A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora "carne" e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi. Dio, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un «oggi» che non ha tramonto.
Vorrei insistere su questo punto, perché l’uomo contemporaneo, uomo del "sensibile", dello sperimentabile empiricamente, fa sempre più fatica ad aprire gli orizzonti ed entrare nel mondo di Dio. La redenzione dell’umanità avviene certo in un momento preciso e identificabile della storia: nell’evento di Gesù di Nazaret; ma Gesù è il Figlio di Dio, è Dio stesso, che non solo ha parlato all’uomo, gli ha mostrato segni mirabili, lo ha guidato lungo tutta una storia di salvezza, ma si è fatto uomo e rimane uomo. L’Eterno è entrato nei limiti del tempo e dello spazio, per rendere possibile «oggi» l’incontro con Lui.
I testi liturgici natalizi ci aiutano a capire che gli eventi della salvezza operata da Cristo sono sempre attuali, interessano ogni uomo e tutti gli uomini. Quando ascoltiamo o pronunciamo, nelle celebrazioni liturgiche, questo «oggi è nato per noi il Salvatore», non stiamo utilizzando una vuota espressione convenzionale, ma intendiamo che Dio ci offre «oggi», adesso, a me, ad ognuno di noi la possibilità di riconoscerlo e di accoglierlo, come fecero i pastori a Betlemme, perché Egli nasca anche nella nostra vita e la rinnovi, la illumini, la trasformi con la sua Grazia, con la sua Presenza.
Il Natale, dunque, mentre commemora la nascita di Gesù nella carne, dalla Vergine Maria - e numerosi testi liturgici fanno rivivere ai nostri occhi questo o quell’episodio -, è un evento efficace per noi. Il Papa san Leone Magno, presentando il senso profondo della Festa del Natale, invitava i suoi fedeli con queste parole: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, e apriamo il nostro cuore alla gioia più pura, perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Sermo 22, In Nativitate Domini, 2,1: PL 54,193). E, sempre san Leone Magno, in un’altra delle sue Omelie natalizie, affermava: «Oggi l’autore del mondo è stato generato dal seno di una vergine: colui che aveva fatto tutte le cose si è fatto figlio di una donna da lui stesso creata. Oggi il Verbo di Dio è apparso rivestito di carne e, mentre mai era stato visibile a occhio umano, si è reso anche visibilmente palpabile. Oggi i pastori hanno appreso dalla voce degli angeli che era nato il Salvatore nella sostanza del nostro corpo e della nostra anima» (Sermo 26, In Nativitate Domini, 6,1: PL 54,213).
C’è un secondo aspetto al quale vorrei accennare brevemente: l’evento di Betlemme deve essere considerato alla luce del Mistero Pasquale: l’uno e l’altro sono parte dell’unica opera redentrice di Cristo. L’Incarnazione e la nascita di Gesù ci invitano già ad indirizzare lo sguardo verso la sua morte e la sua risurrezione: Natale e Pasqua sono entrambe feste della redenzione. La Pasqua la celebra come vittoria sul peccato e sulla morte: segna il momento finale, quando la gloria dell’Uomo-Dio splende come la luce del giorno; il Natale la celebra come l’entrare di Dio nella storia facendosi uomo per riportare l’uomo a Dio: segna, per così dire, il momento iniziale, quando si intravede il chiarore dell’alba. Ma proprio come l’alba precede e fa già presagire la luce del giorno, così il Natale annuncia già la Croce e la gloria della Risurrezione. Anche i due periodi dell’anno, in cui sono collocate le due grandi feste, almeno in alcune aree del mondo, possono aiutare a comprendere questo aspetto. Infatti, mentre la Pasqua cade all’inizio della primavera, quando il sole vince le dense e fredde nebbie e rinnova la faccia della terra, il Natale cade proprio all’inizio dell’inverno, quando la luce e il calore del sole non riescono a risvegliare la natura, avvolta dal freddo, sotto la cui coltre, però, pulsa la vita e comincia di nuovo la vittoria del sole e del calore.
I Padri della Chiesa leggevano sempre la nascita di Cristo alla luce dall’intera opera redentrice, che trova il suo vertice nel Mistero Pasquale. L’Incarnazione del Figlio di Dio appare non solo come l’inizio e la condizione della salvezza, ma come la presenza stessa del Mistero della nostra salvezza: Dio si fa uomo, nasce bambino come noi, prende la nostra carne per vincere la morte e il peccato. Due significativi testi di san Basilio lo illustrano bene. San Basilio diceva ai fedeli: «Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno una volta ingeriti ne annullano gli effetti, e come le tenebre di una casa si dissolvono alla luce del sole, così la morte che dominava sull’umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell’acqua finché dura la notte e regnano le tenebre, ma subito si scioglie al calore del sole, così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia, "fu ingoiata dalla vittoria" (1 Cor 15,54), non potendo coesistere con la Vita» (Omelia sulla nascita di Cristo, 2: PG 31,1461). E ancora san Basilio, in un altro testo, rivolgeva questo invito: «Celebriamo la salvezza del mondo, il natale del genere umano. Oggi è stata rimessa la colpa di Adamo. Ormai non dobbiamo più dire: "Sei in polvere e in polvere ritornerai" (Gn 3,19), ma: unito a colui che è venuto dal cielo, sarai ammesso in cielo" (Omelia sulla nascita di Cristo, 6: PG 31,1473).
Nel Natale noi incontriamo la tenerezza e l’amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi. San Paolo afferma che Gesù Cristo «pur essendo nella condizione di Dio… svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Guardiamo alla grotta di Betlemme: Dio si abbassa fino ad essere adagiato in una mangiatoia, che è già preludio dell’abbassamento nell’ora della sua passione. Il culmine della storia di amore tra Dio e l’uomo passa attraverso la mangiatoia di Betlemme e il sepolcro di Gerusalemme.
Cari fratelli e sorelle, viviamo con gioia il Natale che si avvicina. Viviamo questo evento meraviglioso: il Figlio di Dio nasce ancora «oggi», Dio è veramente vicino a ciascuno di noi e vuole incontrarci, vuole portarci a Lui. Egli è la vera luce, che dirada e dissolve le tenebre che avvolgono la nostra vita e l’umanità. Viviamo il Natale del Signore contemplando il cammino dell’amore immenso di Dio che ci ha innalzati a Sé attraverso il Mistero di Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione del suo Figlio, poiché – come afferma sant’Agostino - «in [Cristo] la divinità dell’Unigenito si è fatta partecipe della nostra mortalità, affinché noi fossimo partecipi della sua immortalità» (Epistola 187,6,20: PL 33,839-840). Soprattutto contempliamo e viviamo questo Mistero nella celebrazione dell’Eucaristia, centro del Santo Natale; lì si rende presente in modo reale Gesù, vero Pane disceso dal cielo, vero Agnello sacrificato per la nostra salvezza.
Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie di celebrare un Natale veramente cristiano, in modo che anche gli scambi di auguri in quel giorno siano espressione della gioia di sapere che Dio ci è vicino e vuole percorrere con noi il cammino della vita. Grazie.
SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI : Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. Dio è vicino a noi, così vicino che si fa bambino, e noi possiamo dare del “tu” a questo Dio.
Vogliamo adesso brevemente meditare il bellissimo Vangelo di questa quarta Domenica d’Avvento, che è per me una delle più belle pagine della Sacra Scrittura. E vorrei – per non essere troppo lungo – riflettere solo su tre parole di questo ricco Vangelo.
La prima parola che vorrei meditare con voi è il saluto dell’Angelo a Maria. Nella traduzione italiana l’Angelo dice: “Ti saluto, Maria”. Ma la parola greca sottostante, “Kaire”, significa di per sé “gioisci”, “rallegrati”. E qui c’è una prima cosa che sorprende: il saluto tra gli ebrei era “Shalom”, “pace”, mentre il saluto nel mondo greco era “Kaire”, “rallegrati”. E’ sorprendente che l’Angelo, entrando nella casa di Maria, saluti con il saluto dei greci: “Kaire”, “rallegrati, gioisci”.
E i greci, quando quarant'anni anni dopo hanno letto questo Vangelo, hanno potuto qui vedere un messaggio importante: hanno potuto capire che con l’inizio del Nuovo Testamento, a cui questa pagina di Luca faceva riferimento, si era avuta anche l’apertura al mondo dei popoli, all’universalità del Popolo di Dio, che ormai abbracciava non più soltanto il popolo ebreo, ma anche il mondo nella sua totalità, tutti i popoli. Appare in questo saluto greco dell’Angelo la nuova universalità del Regno del vero Figlio di Davide.
Ma è opportuno rilevare subito che le parole dell’Angelo sono la ripresa di una promessa profetica del Libro del Profeta Sofonia. Troviamo qui quasi letteralmente quel saluto. Il profeta Sofonia, ispirato da Dio, dice ad Israele: “Rallegrati, figlia di Sion; il Signore è con te e prende in te la Sua dimora". Sappiamo che Maria conosceva bene le Sacre Scritture. Il suo Magnificat è un tessuto fatto di fili dell’Antico Testamento. Possiamo perciò essere certi che la Santa Vergine capì subito che queste erano parole del Profeta Sofonia indirizzate a Israele, alla "figlia di Sion", considerata come dimora di Dio. E adesso la cosa sorprendente che fa riflettere Maria è che tali parole, indirizzate a tutto Israele, vengono rivolte in special modo a lei, Maria. E così le appare con chiarezza che proprio lei è la "figlia di Sion" di cui ha parlato il profeta, che quindi il Signore ha un'intenzione speciale per lei, che lei è chiamata ad essere la vera dimora di Dio, una dimora non fatta di pietre, ma di carne viva, di un cuore vivo, che Dio intende in realtà prendere come Suo vero tempio proprio lei, la Vergine. Che indicazione! E possiamo allora capire che Maria cominci a riflettere con particolare intensità su che cosa voglia dire questo saluto.
Ma fermiamoci adesso soprattutto sulla prima parola: “gioisci, rallegrati”. Questa è la prima parola che risuona nel Nuovo Testamento come tale, perché l’annuncio fatto dall'angelo a Zaccaria circa la nascita di Giovanni Battista è parola che risuona ancora sulla soglia tra i due Testamenti. Solo con questo dialogo, che l'angelo Gabriele ha con Maria, comincia realmente il Nuovo Testamento. Possiamo quindi dire che la prima parola del Nuovo Testamento è un invito alla gioia: “gioisci, rallegrati!”. Il Nuovo Testamento è veramente "Vangelo", la “Buona Notizia” che ci porta gioia. Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. Dio è vicino a noi, così vicino che si fa bambino, e noi possiamo dare del “tu” a questo Dio.
Soprattutto il mondo greco ha avvertito questa novità, ha avvertito profondamente questa gioia, perché per loro non era chiaro se esistesse un Dio buono o un Dio cattivo o semplicemente nessun Dio. La religione di allora parlava loro di tante divinità: si sentivano perciò circondati da diversissime divinità, l'una in contrasto con l'altra, così da dover temere che, se facevano una cosa in favore di una divinità, l'altra poteva offendersi e vendicarsi. E così vivevano in un mondo di paura, circondati da demoni pericolosi, senza mai sapere come salvarsi da tali forze in contrasto tra di loro. Era un mondo di paura, un mondo oscuro.
E adesso sentivano dire: “Gioisci, questi demoni sono un niente, c’è il vero Dio e questo vero Dio è buono, ci ama, ci conosce, è con noi, con noi fino al punto di essersi fatto carne!" Questa è la grande gioia che il cristianesimo annuncia. Conoscere questo Dio è veramente la "buona notizia", una parola di redenzione.
Forse noi cattolici, che lo sappiamo da sempre, non siamo più sorpresi, non avvertiamo più con vivezza questa gioia liberatrice. Ma se guardiamo al mondo di oggi, dove Dio è assente, dobbiamo constatare che anch’esso è dominato dalle paure, dalle incertezze: è bene essere uomo o no? è bene vivere o no? è realmente un bene esistere? o forse è tutto negativo? E vivono in realtà in un mondo oscuro, hanno bisogno di anestesie per potere vivere. Così la parola: “gioisci, perché Dio è con te, è con noi", è parola che apre realmente un tempo nuovo. Carissimi, con un atto di fede dobbiamo di nuovo accettare e comprendere nella profondità del cuore questa parola liberatrice: “gioisci!”.
Questa gioia che uno ha ricevuto non può tenersela solo per sé; la gioia deve essere sempre condivisa. Una gioia la si deve comunicare. Maria è subito andata a comunicare la sua gioia alla cugina Elisabetta. E da quando è stata assunta in Cielo distribuisce gioie in tutto il mondo, è divenuta la grande Consolatrice; la nostra Madre che comunica gioia, fiducia, bontà e ci invita a distribuire anche noi la gioia. Questo è il vero impegno dell’Avvento: portare la gioia agli altri. La gioia è il vero dono di Natale, non i costosi doni che impegnano tempo e soldi.
Questa gioia noi possiamo comunicarla in modo semplice: con un sorriso, con un gesto buono, con un piccolo aiuto, con un perdono. Portiamo questa gioia e la gioia donata ritornerà a noi. Cerchiamo, in particolare, di portare la gioia più profonda, quella di avere conosciuto Dio in Cristo. Preghiamo che nella nostra vita traspaia questa presenza della gioia liberatrice di Dio. La seconda parola che vorrei meditare è ancora dell’Angelo: “Non temere, Maria!”, egli dice. In realtà, vi era motivo di temere, perché portare adesso il peso del mondo su di sé, essere la madre del Re universale, essere la madre del Figlio di Dio, quale peso costituiva! Un peso al di sopra delle forze di un essere umano! Ma l’Angelo dice: “Non temere! Sì, tu porti Dio, ma Dio porta te. Non temere!” Questa parola “Non temere” penetrò sicuramente in profondità nel cuore di Maria. Noi possiamo immaginare come in diverse situazioni la Vergine sia ritornata a questa parola, l'abbia di nuovo ascoltata. Nel momento in cui Simeone le dice: “Questo tuo figlio sarà un segno di contraddizione, una spada trafiggerà il tuo cuore”, in quel momento in cui poteva cedere alla paura, Maria torna alla parola dell’Angelo, ne risente interiormente l'eco: “Non temere, Dio ti porta”. Quando poi, durante la vita pubblica, si scatenano le contraddizioni intorno a Gesù, e molti dicono: “E’ pazzo”, lei ripensa: “Non temere", e va avanti. Infine, nell’incontro sulla via del Calvario e poi sotto la Croce, quando tutto sembra distrutto, ella sente ancora nel cuore la parola dell'angelo; “Non temere”. E così coraggiosamente sta accanto al Figlio morente e, sorretta dalla fede, va verso la Resurrezione, verso la Pentecoste, verso la fondazione della nuova famiglia della Chiesa.
“Non temere!”, Maria dice questa parola anche a noi. Ho già rilevato che questo nostro mondo è un mondo di paure: paura della miseria e della povertà, paura delle malattie e delle sofferenze, paura della solitudine, paura della morte. Abbiamo, in questo nostro mondo, un sistema di assicurazioni molto sviluppato: è bene che esistano. Sappiamo però che nel momento della sofferenza profonda, nel momento dell’ultima solitudine della morte, nessuna assicurazione potrà proteggerci. L'unica assicurazione valida in quei momenti è quella che ci viene dal Signore che dice anche a noi: “Non temere, io sono sempre con te”. Possiamo cadere, ma alla fine cadiamo nelle mani di Dio e le mani di Dio sono buone mani.
Terza parola: al termine del colloquio Maria risponde all’Angelo: “Sono la Serva del Signore, sia fatto come hai detto tu”. Maria anticipa così la terza invocazione del Padre Nostro: “Sia fatta la Tua volontà”. Dice “sì” alla volontà grande di Dio, una volontà apparentemente troppo grande per un essere umano; Maria dice “sì” a questa volontà divina, si pone dentro questa volontà, inserisce tutta la sua esistenza con un grande “sì” nella volontà di Dio e così apre la porta del mondo a Dio. Adamo ed Eva con il loro “no” alla volontà di Dio avevano chiuso questa porta. “Sia fatta la volontà di Dio”: Maria ci invita a dire anche noi questo “sì” che appare a volte così difficile. Siamo tentati di preferire la nostra volontà, ma Ella ci dice: “Abbi coraggio, dì anche tu: ‘Sia fatta la tua volontà’, perché questa volontà è buona. Inizialmente può apparire come un peso quasi insopportabile, un giogo che non è possibile portare; ma in realtà non è un peso la volontà di Dio, la volontà di Dio ci dona ali per volare in alto, e cosi possiamo osare con Maria anche noi di aprire a Dio la porta della nostra vita, le porte di questo mondo, dicendo “sì” alla Sua volontà, nella consapevolezza che questa volontà è il vero bene e ci guida alla vera felicità. Preghiamo Maria la Consolatrice, la nostra Madre, la Madre della Chiesa, perché ci dia il coraggio di pronunciare questo “sì”, ci dia anche questa gioia di essere con Dio e ci guidi al Suo Figlio, alla vera Vita. Amen!
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terça-feira, 17 de dezembro de 2013
Ven. Pio XII : el Sacrificio Eucarístico consiste esencialmente en la inmolación incruenta de la Víctima divina
Ven. Pio XII : o sacrifício eucarístico consiste essencialmente na imolação incruenta da vítima divina, imolação que é misticamente manifestada pela separação das sagradas espécies e pela sua oblação feita ao Pai Eterno.
A santa comunhão pertence à integridade do sacrifício, e à participação nele por meio da recepção do augusto sacramento; e enquanto é absolutamente necessária ao ministro sacrificador, aos fiéis é vivamente recomendável.
CARTA ENCÍCLICA DO PAPA PIO
XII
MEDIATOR DEI
SOBRE A SAGRADA LITURGIA
100. O augusto sacrifício do altar conclui-se com a comunhão do divino banquete. Mas, como todos sabem, para haver integridade do sacrifício, somente é exigido que o sacerdote se nutra do alimento celeste e não que o povo - coisa aliás sumamente desejável - participe da santa comunhão.
101. Agrada-nos a esse propósito repetir as considerações de Nosso predecessor Bento XIV sobre as definições do concílio de Trento: "Em primeiro lugar... devemos dizer que a nenhum fiel pode vir à mente que as missas privadas, nas quais apenas o sacerdote comunga, percam por isso o valor do verdadeiro, perfeito e íntegro sacrifício instituído por Cristo Senhor e devam, portanto, ser consideradas ilícitas. Nem os fiéis ignoram - pelo menos podem ser facilmente instruídos - que o sacrossanto concílio de Trento, fundando-se na doutrina guardada na ininterrupta tradição da Igreja, condenou a nova e falsa doutrina de Lutero, contraria a esta"(103). Quem disser que as missas nas quais só o sacerdote comunga sacramentalmente são ilícitas, e por isso devam ser abolidas, seja anátema".(104)
102. Afastam-se, pois, do caminho da verdade os que recusam celebrar, se o povo cristão não se aproximar da mesa divina; e ainda mais se afastam os que, para sustentar a absoluta necessidade de que os fiéis se nutram do banquete eucarístico juntamente com o sacerdote, afirmam capciosamente que não se trata somente de um sacrifício, mas de sacrifício e banquete de união fraterna, e fazem da santa comunhão em comum quase o ápice de toda a celebração.
103. Deve-se ainda uma vez notar que o sacrifício eucarístico consiste essencialmente na imolação incruenta da vítima divina, imolação que é misticamente manifestada pela separação das sagradas espécies e pela sua oblação feita ao Pai Eterno. A santa comunhão pertence à integridade do sacrifício, e à participação nele por meio da recepção do augusto sacramento; e enquanto é absolutamente necessária ao ministro sacrificador, aos fiéis é vivamente recomendável.
104. Como, porém, a Igreja, enquanto mestra de verdade, se esforça com todo o cuidado por guardar a integridade da fé católica, assim, enquanto mãe solícita de seus filhos exorta-os instantemente a participarem com avidez e freqüência deste máximo benefício da nossa religião.
105. Deseja antes de tudo, que os cristãos - especialmente quando não possam facilmente receber de fato o alimento eucarístico - o recebam ao menos em desejo; de sorte que se unam a ele com fé viva, com ânimo reverentemente humilde e confiante na vontade do Redentor divino e com o amor mais ardente.
106. Mas isso não lhe basta. Já que, como acima dissemos, podemos participar do sacrifício também pela comunhão sacramental, por meio do banquete do pão dos anjos, a madre Igreja, para que mais eficazmente "possamos sentir em nós continuamente o fruto da redenção" (105) repete a todos os seus filhos o convite de Cristo Senhor: "tomai e comei... fazei isto em minha memória".(106) Nesse propósito o concílio de Trento, fazendo eco aos desejos de Jesus Cristo e de sua esposa imaculada, insta por "que em todas as missas os fiéis presentes participem não só espiritualmente, mas ainda sacramentalmente da eucaristia, para que lhes venha mais abundante o fruto deste sacrifício".(107) Aliás, para melhor e mais claramente manifestar-se a participação dos fiéis no sacrifício divino por meio da comunhão eucarística, o nosso imortal predecessor Bento XIV louva a devoção daqueles que, não só desejam nutrir-se do alimento celeste durante a assistência ao sacrifício, mas preferem alimentar-se com hóstias consagradas no mesmo sacrifício, se bem que, como ele declara, participemos verdadeira e realmente do sacrifício, mesmo quando se trate de pão eucarístico devidamente consagrado antes. Assim, com efeito, escreve: "Embora participem do mesmo sacrifício não só aqueles aos quais o sacerdote celebrante dá parte da Vítima por ele oferecida na mesma missa, mas também aqueles aos quais o sacerdote dá a eucaristia que se costuma conservar; nem por isso a Igreja proibiu no passado, ou proíbe atualmente, que o sacerdote satisfaça à devoção e ao justo pedido daqueles que assistem à missa e pedem para participar do mesmo sacrifício, também por eles oferecido na maneira que lhes é apropriada; antes aprova e deseja que assim se faça e reprovaria os sacerdotes que, por sua culpa ou negligência privassem os fiéis desta participação". (108)
107. Queira, pois, Deus que todos, espontanea e livremente, correspondam a esses solícitos convites da Igreja; queira Deus que os fiéis, mesmo todos os dias se o puderem, participem não só espiritualmente do sacrifício divino, mas ainda da comunhão do augusto sacramento, recebendo o corpo de Jesus Cristo, oferecido por todos ao Pai Eterno. Estimulai, veneráveis irmãos, nas almas confïadas aos vossos cuidados, a apaixonada e insaciável fome de Jesus Cristo; vosso ensinamento cerque os altares de crianças e de jovens que ofereçam ao Redentor divino a sua inocência e o seu entusiasmo: aproximem-se freqüentemente os cônjuges para que, nutridos na sagrada mesa e graças a ela, possam educar no espírito e na caridade de Jesus Cristo a prole que lhes foi confiada; sejam convidados os operários para que possam receber o alimento eficaz e indefectível que lhes restaura as forças e prepara às suas fadigas a recompensa eterna no céu; aproximai enfim os homens de todas as classes e "compeli-os a entrar",(109) porque este é o pão da vida do qual todos têm necessidade. A Igreja de Jesus Cristo só dispõe desse pão para saciar as aspirações e os desejos das nossas almas, para uni-las intimamente a Jesus Cristo, afim de, por ele, se tornarem "um só corpo"(110) e confraternizarem quantos se sentam à mesma mesa para tomar o remédio da imortalidade (111) com a fração do pão único.
108. É assaz oportuno, ainda - o que aliás é estabelecido pela liturgia - que o povo compareça à santa comunhão depois que o sacerdote tomou no altar o alimento divino; e, como já dissemos, são para louvar aqueles que, assistindo à missa, recebem as hóstias consagradas no mesmo sacrifício, verificando-se destarte que "quantos, participando deste altar, hajamos recebido o sacrossanto corpo e sangue de teu Filho, sejamos cumulados de toda a graça e bênção celeste".(112)
109. Todavia, não faltam nem são raras as causas pelas quais se deva distribuir o pão eucarístico, antes ou depois do sacrifício, como também que se comungue com hóstias anteriormente consagradas, embora se distribua a comunhão em seguida à do sacerdote. Mesmo nesses casos - como aliás já advertimos antes - o povo participa regularmente do sacrifício eucarístico e pode freqüentemente, com maior facilidade, aproximar-se da mesa de vida eterna. Se a Igreja com maternal condescendência se esforça por vir ao encontro das necessidades espirituais dos seus filhos, estes, contudo, de sua parte, não devem facilmente desdenhar o que a sagrada liturgia aconselha e, sempre que não haja motivo plausível em contrário, devem fazer tudo o que mais claramente manifesta no altar a viva unidade do corpo místico.
110. Finda a sagrada ação, regulada pelas normas litúrgicas particulares, não dispensa a ação de graças de quem saboreou o alimento celeste; é, aliás muito conveniente que, recebido o alimento eucarístico e terminados os ritos públicos, se recolha e, intimamente unido com o divino Mestre, se entretenha com ele tanto quanto as circunstâncias lho permitam, em dulcíssimo e salutar colóquio. Afastam-se, pois, do reto caminho da verdade aqueles que, baseando-se nas palavras mais que no sentido, afirmam e ensinam que, terminada a missa, não se deve prolongar a ação de graças, não só porque o sacrifício do altar é por natureza uma ação de graças mas ainda porque isso pertence à piedade privada, pessoal e não ao bem da comunidade. Pelo contrário, a própria natureza do Sacramento requer do cristão que o recebe, que se locuplete com abundantes frutos de santidade.
111. Certamente a pública assembléia da comunidade está dissolvida, mas é necessário que os indivíduos unidos com Cristo não interrompam na sua alma o cântico de louvor, "agradecendo sempre tudo em nome de nosso Senhor Jesus Cristo a Deus e Pai".(113) A isso nos exorta ainda a própria liturgia do sacrifício eucarístico, quando nos manda rezar com estas palavras: "Concede, nós te pedimos, render-te contínuas graças (114) e não cessar jamais de louvar-te".(115) Se se deve, pois, sempre agradecer a Deus e jamais cessar de louvá-lo, quem ousaria repreender e desaprovar a Igreja que aconselha aos seus sacerdotes (116) e aos fiéis entreterem-se ao menos um pouco de tempo depois da comunhão em colóquio com o divino Redentor, e que inseriu nos livros litúrgicos oportunas orações enriquecidas de indulgências com as quais os sagrados ministros se possam convenientemente preparar antes de celebrar e de comungar e, acabada a santa missa, manifestar a Deus a sua ação de graças? A sagrada liturgia, longe de sufocar os íntimos sentimentos particulares dos cristãos, os facilita e estimula a que sejam assimilados a Jesus Cristo e por meio dele dirigidos ao Pai; portanto ela mesma exige que aquele que se aproxima da mesa eucarística agradeça devidamente a Deus. O divino Redentor compraz-se em ouvir as nossas orações, falar conosco de coração aberto e oferecer-nos refúgio no seu Coração ardente.
112. Esses atos próprios dos indivíduos são absolutamente necessários para aproveitar-nos mais abundantemente de todos os sobrenaturais tesouros de que é rica a eucaristia e para transmiti-los aos outros segundo as nossas possibilidades, a fim de que Cristo Senhor consiga em todas as almas a plenitude de sua virtude. Por que, pois, veneráveis irmãos; não louvaremos aqueles que, recebido o alimento eucarístico, ainda depois que se dissolveu oficialmente a assembléia cristã, se demoram em íntima familiaridade com o divino Redentor, não só para tratar docemente com ele, mas ainda para agradecê-lo, louvá-lo e especialmente para pedir-lhe ajuda, e, assim, afastar de sua alma tudo quanto possa diminuir a eficácia do sacramento, ao passo que se aproveita de tudo o que logra favorecer a atualíssima ação de Jesus? Antes, nós os exortamos a fazê-lo, de modo particular, quer traduzindo na prática os propósitos concebidos e exercitando as virtudes cristãs, quer adaptando às próprias necessidades quanto tenham recebido com real liberalidade. Falava deveras segundo os preceitos e espírito da liturgia o autor do áureo livrinho a "Imitação de Cristo", quando aconselhava a quem tivesse comungado: "Recolhe-te em segredo e goza de teu Deus para que possuas aquele que o mundo inteiro não poderá tirar-te".(117)
113. Assim, pois, intimamente unidos a Cristo, procuremos todos mergulhar em sua santíssima alma e unir-nos com ele para participar dos atos de adoração com os quais ele oferece à Trindade Augusta a homenagem mais grata e aceita; aos atos de louvor e de ação de graças que ele oferece ao Pai Eterno e a que faz eco o cântico do céu e da terra: "Bendigam ao Senhor todas as suas obras"; (118) participando dos atos, imploremos a ajuda celeste no momento mais oportuno para pedir e obter socorro em nome de Cristo (119) mas, sobretudo, ofereçamo-nos e imolemo-nos como vítimas clamando: "Faze que sejamos oferta eterna a ti",(120)
114. O divino Redentor repete incessantemente o seu insistente convite: "Permanecei em mim".(121) por meio do sacramento da eucaristia, Cristo fica em nós e nós ficamos em Cristo; e como Cristo, permanecendo em nós, vive e opera, assim é necessário que nós, permanecendo em Cristo, por ele vivamos e operemos.
Ven. Pie XII : le sacrifice eucharistique consiste essentiellement dans l’immolation non sanglante de la victime divine, immolation qui est mystiquement indiquée par la séparation des saintes espèces et par leur oblation faite au Père éternel.
La sainte communion en assure l’intégrité, et a pour but d’y faire participer sacramentellement, mais tandis qu’elle est absolument nécessaire de la part du ministre sacrificateur, elle est seulement à recommander vivement aux fidèles.
Encyclique MEDIATOR DEI
de Sa Sainteté
le Pape PIE XII
SUR LA SAINTE LITURGIE
III. LA COMMUNION EUCHARISTIQUE
L’auguste sacrifice de l’autel se conclut par la communion
au repas divin. Cependant, comme tous le savent, pour assurer l’intégrité de ce
sacrifice il suffit que le prêtre communie ; il n’est pas nécessaire - bien que
ce soit souverainement souhaitable - que le peuple lui aussi s’approche de la
sainte table.
Pour l’intégrité du sacrifice, celle du prêtre suffit.
Nous aimons, à ce sujet, répéter les considérations de
Notre prédécesseur, Benoît XIV, sur les définitions du concile de Trente : " En
premier lieu… nous devons dire qu’il ne peut venir à l’esprit d’aucun fidèle que
les messes privées dans lesquelles seul le prêtre communie perdent de ce fait le
caractère du sacrifice non sanglant, parfait et complet, institué par le Christ
Notre-Seigneur, et qu’elles doivent, par conséquent,
être considérées comme illicites.lire...
Ven. Pio XII : el Sacrificio Eucarístico consiste esencialmente en la inmolación cruenta de la Víctima divina
La santa Comunión pertenece a la integridad del Sacrificio y a la participación en él por medio de la Comunión del augusto Sacramento, y aunque es absolutamente necesaria al Ministro sacrificante, en lo que toca a los fieles sólo es evidentemente recomendable
PIO XII
"Mediator
Dei"
Sobre la Sagrada Liturgia
20 de noviembre de 1947
Sobre la Sagrada Liturgia
20 de noviembre de 1947
III. La Comunión Eucarística
A) LA
COMUNIÓN. SUS RELACIONES CON EL SACRIFICIO
1° Resumen de la Doctrina.
138. El augusto Sacrificio del
Altar se completa con la Comunión del divino Convite. Pero, como todos saben,
para obtener la integridad del mismo Sacrificio, sólo es necesario que el
Sacerdote se nutra del alimento celestial, pero no que el pueblo (aunque esto
sea por demás sumamente deseable) se acerque a la Santa
Comunión.
2° No es necesaria la de los
fieles.
139. Nos place, a este
propósito, recordar las consideraciones de Nuestro Predecesor Benedicto XIV
sobre las definiciones del Concilio de Trento: «En primer lugar, debemos decir
que a ningún fiel se le puede ocurrir que las Misas privadas, en las que sólo el
Sacerdote toma la Eucaristía, pierdan por esto su valor de verdadero, perfecto e
íntegro Sacrificio, instituido por Cristo Nuestro Señor, y hayan por ello de
considerarse ilícitas. Tampoco ignoran los fieles (o al menos pueden ser
fácilmente instruidos de ello) que el Sacrosanto Concilio de Trento, fundándose
en la doctrina custodiada en la ininterrumpida Tradición de la Iglesia, condenó
la nueva y falsa doctrina de Lutero, contraria a ella».(11) «Quien diga que las
Misas en las que sólo el Sacerdote comulga sacramentalmente son ilícitas y deben
por ello derogarse, sean anatema» (12).
140. Se alejan, pues, del
camino de la verdad aquellos que se niegan a celebrar si el pueblo cristiano no
se acerca a la Mesa divina; y todavía más se alejan aquellos que, por sostener
la absoluta necesidad de que los fieles se nutran del alimento eucarístico
juntamente con el Sacerdote, afirman capciosamente que no se trata tan sólo de
un Sacrificio, sino de un Sacrificio y de un convite de fraterna comunión y
hacen de la santa Comunión, realizada en común casi el punto supremo de toda la
celebración.
141. Hay que afirmar una vez
más que el Sacrificio Eucarístico consiste esencialmente en la inmolación
cruenta de la Víctima divina, inmolación que es místicamente manifestada por la
separación de las sagradas Especies y por la oblación de las mismas hecha al
Eterno Padre. La santa Comunión pertenece a la integridad del Sacrificio y a la
participación en él por medio de la Comunión del augusto Sacramento, y aunque es
absolutamente necesaria al Ministro sacrificante, en lo que toca a los fieles
sólo es evidentemente recomendable.
3° Pero es de consejo.
1. La
Comunión.
142. Y así como la Iglesia, en
cuanto Maestra de verdad, se esfuerza con todo cuidado en tutelar la integridad
de la Fe católica, así, en cuanto Madre solicita de sus hijos, les exhorta a
participar con frecuencia e interés en este máximo beneficio de nuestra
Religión.
143. Desea ante todo que los
cristianos (especialmente cuando no pueden con facilidad recibir de hecho el
alimento eucarístico) lo reciban al menos con el deseo, de forma que, con viva
fe, con ánimo reverentemente humilde y confiado en la voluntad del Redentor
divino, con el amor más ardiente se unan a El.
144. Pero no basta. Puesto
que, como hemos dicha más arriba, podemos participar en el Sacrificio también
con la Comunión Sacramental, por medio del Convite de los Ángeles, la Madre
Iglesia, para que más eficazmente «podamos sentir en nosotros de continuo el
fruto de la Redención» (13), repite a todos sus hijos la invitación de Cristo
Nuestro Señor: «Tomad y comed... Haced esto en mi memoria» (I Cor. 11,
24).
145. A cuyo propósito, el
Concilio de Trento, haciéndose eco del deseo de Jesucristo y de su Esposa
inmaculada, nos exhorta ardientemente «para que en todas las Misas los fieles
presentes participen no sólo espiritualmente, sino también recibiendo
sacramentalmente la Eucaristía, a fin de que reciban más abundantemente el fruto
de este Sacrificio» (14).
146. También Nuestro inmortal
predecesor Benedicto XIV, para que quedase mejor y más claramente manifiesta la
participación de los fieles en el mismo Sacrificio divino por medio de la
Comunión Eucarística, alaba la devoción de aquellos que no sólo desean nutrirse
del alimento celestial, durante la asistencia al Sacrificio, sino que prefieren
alimentarse de las Hostias consagradas en el mismo Sacrificio, si bien, como él
declara, se participa real y verdaderamente en el Sacrificio, aun cuando se
trate de Pan eucarístico debidamente consagrado con anterioridad. Así escribe,
en efecto: «Y aunque participen en el mismo sacrificio además de aquellos a
quienes el Sacerdote celebrante da parte de la Víctima por él ofrecida en la
Santa Misa, otras personas a las que el Sacerdote da la Eucaristía que se suele
conservar, no por esto la Iglesia ha prohibido en el pasado ni prohíbe ahora que
el Sacerdote satisfaga la devoción y la justa petición de aquellos que asisten a
la Misa y solicitan participar en el mismo Sacrificio que ellos también ofrecen
a la manera que les está asignada; antes bien, aprueba y desea que esto se haga
y reprobaría a aquellos Sacerdotes por cuya culpa o negligencia se negase a los
fieles esta participación» (15).
147. Quiera, pues, Dios que
todos, espontánea y libremente, correspondan a esta solícita invitación de la
Iglesia; quiera Dios que los fieles, incluso todos los días, participen no sólo
espiritualmente en el Sacrificio divino, sino también con la Comunión del
Augusto Sacramento, recibiendo el Cuerpo de Jesucristo, ofrecido por todos al
Eterno Padre. Estimulad, Venerables Hermanos, en las almas confiadas a Vuestro
cuidado el hambre apasionada e insaciable de Jesucristo; que Vuestra enseñanza
llene los Altares de niños y de jóvenes que ofrezcan al Redentor divino su
inocencia y su entusiasmo; que los cónyuges se acerquen al Altar a menudo, para
que puedan educar la prole que les ha sido confiada en el sentido y en la
caridad de Jesucristo; sean invitados los obreros para que puedan tomar el
alimento eficaz e indefectible que restaura sus fuerzas y les prepara para sus
fatigas la eterna misericordia en el cielo; reuníos, en fin, los hombres de
todas las clases y «apresuraos a entrar», porque éste es el Pan de la vida del
que todos tienen necesidad. La Iglesia de Jesucristo sólo tiene este Pan para
saciar las aspiraciones y los deseos de nuestras almas, para unirlas íntimamente
a Jesucristo y, en fin, para que por su virtud se conviertan en «un solo Cuerpo»
(I Cor. 10, 17) y sean como hermanos todos los que se sientan a una misma Mesa
para tomar el remedio de la inmortalidad con la fracción de un único
Pan.
2. Las circunstancias de la
Comunión.
148. Es bastante oportuno
también (lo que, por otra parte, está establecido por la Liturgia) que el pueblo
acuda a la Santa Comunión después que el Sacerdote haya tomado del Altar el
alimento divino; y, como más arriba hemos dicho, son de alabar aquellos que,
asistiendo a la Misa, reciben las Hostias consagradas en el mismo Sacrificio, de
forma que se cumpla en verdad que «todos los que participando de este Altar
hayamos recibido el Sacrosanto Cuerpo y Sangre de tu Hijo, seamos colmados de
toda la gracia y bendición celestial» (16).
149. Sin embargo, no faltan a
veces las causas, ni son raras las ocasiones en que el Pan Eucarístico es
distribuido antes o después del mismo Sacrificio y también que se comulgue,
aunque la Comunión se distribuya inmediatamente después de la del Sacerdote, con
Hostias consagradas anteriormente. También en esos casos, como por otra parte ya
hemos advertido, el pueblo participa en verdad en el Sacrificio Eucarístico y
puede, a veces con mayor facilidad, acercarse a la Mesa de la Vida eterna.
150. Sin embargo, si la
Iglesia, con maternal condescendencia, se esfuerza en salir al encuentro de las
necesidades espirituales de sus hijos, éstos, por su parte, no deben desdeñar
aquello que aconseja la Sagrada Liturgia, y siempre que no haya un motivo
plausible para lo contrario, deben hacer todo aquello que más claramente
manifiesta en el Altar la unidad viva del Cuerpo místico.
B) ACCIÓN
DE GRACIAS DESPUÉS DE LA COMUNIÓN
1º. Su conveniencia.
151. La acción sagrada, que
está regulada por particulares normas litúrgicas, no dispensa, después de haber
sido realizada, de la acción de gracias, a aquel que ha gustado del alimento
celestial; antes bien, es muy conveniente que, después de haber recibido el
alimento eucarístico, y terminados los ritos públicos, se recoja íntimamente
unido al Divino Maestro, se entretenga con El en dulcísimo y saludable coloquio
durante el tiempo que las circunstancias le permitan.
2°. El error.
152. Se alejan, por tanto, del
recto camino de la verdad, aquellos que, aferrándose a las palabras más que al
espíritu, afirman y enseñan que acabada la Misa no se debe prolongar la acción
de gracias, no sólo porque el Sacrificio del Altar es ya por su naturaleza una
Acción de Gracias, sino también porque esto es gestión de la piedad privada y
personal y no del bien de la comunidad.
3°. Razones que la exigen.
153. Antes al contrario, la
misma naturaleza del Sacramento exige que el cristiano que lo reciba obtenga de
él abundantes frutos de santidad. Ciertamente, ya se ha disuelto la pública
congregación de la comunidad, pero es necesario que cada uno, unido con Cristo,
no interrumpa en su alma el cántico de alabanzas, «dando siempre gracias por
todo a Dios Padre, en el Nombre de Nuestro Señor Jesucristo» (Efes. 5,
20).
154. A lo que también nos
exhorta la Sagrada Liturgia del Sacrificio Eucarístico cuando nos manda rezar
con estas palabras: «Señor... Te rogamos que siempre perseveremos en acción de
gracias... y que jamás cesemos de alabarte»(17). Por tanto, si siempre se debe
dar gracias a Dios y jamás se debe dejar de alabarlo, ¿quién se atrevería a
reprender y desaprobar a la Iglesia, que aconseja a sus Sacerdotes y a los
fieles que se mantengan, al menos por un poco de tiempo, después de la Comunión,
en coloquio con el Divino Redentor, y que han insertado en los libros litúrgicos
las oportunas plegarias, enriquecidas con indulgencias, con las cuáles los
Sagrados Ministros se pueden preparar convenientemente antes de celebrar y de
comulgar y, acabada la Santa Misa, manifestar a Dios su
agradecimiento?
155. La Sagrada Liturgia,
lejos de sofocar los sentimientos íntimos de cada cristiano, los capacita y los
estimula para que se asimilen a Jesucristo y, por medio de El, sean dirigidos al
Padre; de aquí que exija que quien se haya acercado a la Mesa Eucarística, dé
gracias a Dios como es debido. Al divino Redentor le agrada escuchar nuestras
plegarias, hablar con nosotros con el Corazón abierto y ofrecernos refugio en su
Corazón inflamado de Amor.
156. Además, estos actos,
propios de cada individuo, son absolutamente necesarios para gozar más
abundantemente de todos los tesoros sobrenaturales de que tan rica es la
Eucaristía y para transmitirlos a los otros, según nuestras posibilidades, a fin
de que Cristo Nuestro Señor consiga en todas las almas la plenitud de su virtud.
4º. Alabanzas a quienes la
hacen.
157. ¿Por qué, pues,
Venerables Hermanos, no hemos de alabar a aquellos que, aun después de haberse
disuelto oficialmente la Asamblea cristiana, se mantienen en íntima familiaridad
con el Redentor Divino, no sólo para entretenerse en dulce coloquio con El, sino
también para darle gracias y alabarle y especialmente para pedirle ayuda, a fin
de quitar de su alma todo lo que pueda disminuir la eficacia del Sacramento y
hacer de su parte todo lo que pueda favorecer la acción presente de Jesús? Les
exhortamos también a hacerlo de forma particular, bien llevando a la práctica
los propósitos concebidos y ejercitando las virtudes cristianas, bien adaptando
a sus propias necesidades cuanto han recibido con
munificencia.
5º. Palabras de "La Imitación
de Cristo".
158. Verdaderamente hablaba
según los preceptos y el espíritu de la Liturgia, el autor del áureo librito de
«La Imitación de Cristo», cuando aconsejaba a los que habían comulgado:
«Recógete en secreto y goza a tu Dios, para poseer aquello que el mundo entero
no podrá quitarte» (18).
6º. Unirnos a Cristo.
159. Todos nosotros, pues,
íntimamente unidos a Cristo, debemos tratar de sumergirnos en su Alma Santísima
y de unirnos con El para participar así en los actos de Adoración con los que El
ofrece a la Trinidad Augusta el homenaje más grato y aceptable; en los actos de
Alabanza y de Acción de gracias que El ofrece al Padre Eterno y de que se hace
unánime eco el cántico del cielo y la tierra, como está dicho: «Bendecid al
Señor en todas sus criaturas» (Dan. 3, 57); en los actos, finalmente, con los
que, unidos, imploramos la ayuda celestial en el momento más oportuno para pedir
y obtener socorro en nombre de Cristo, y sobre todo en aquellos con los que nos
ofrecemos e inmolamos como víctimas, diciendo: «Haz de nosotros mismos un
homenaje en tu honor»(19).
7º. Permanecer en Cristo.
160. El Divino Redentor repite
incesantemente su apremiante invitación: «Permaneced en Mí» .(Juan 15, 4) Por
medio del Sacramento de la Eucaristía, Cristo habita en nosotros y nosotros
habitamos en Cristo; y de la misma manera que Cristo, permaneciendo en nosotros,
vive y obra, así es necesario que nosotros, permaneciendo en Cristo, por El
vivamos y obremos.
Ven. Pio XII : il Sacrificio Eucaristico consiste essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all'Eterno Padre.
Si deve, difatti, ancora una volta notare che il Sacrificio Eucaristico consiste essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all'Eterno Padre. La santa Comunione appartiene alla integrità del sacrificio, e alla partecipazione ad esso per mezzo della comunione dell'Augusto Sacramento; e mentre è assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, ai fedeli è soltanto da raccomandarsi vivamente. leggere...
Ven. Pius XII : the eucharistic sacrifice of its very nature is the unbloody immolation of the divine Victim, which is made manifest in a mystical manner by the separation of the sacred species and by their oblation to the eternal Father.
Holy communion pertains to the integrity of the Mass and to the partaking of the august sacrament; but while it is obligatory for the priest who says the Mass, it is only something earnestly recommended to the faithful.
MEDIATOR DEI
ENCYCLICAL OF POPE PIUS XII
ON THE SACRED LITURGY
112. The august sacrifice of the altar is concluded with
communion or the partaking of the divine feast. But, as all know, the integrity
of the sacrifice only requires that the priest partake of the heavenly food.
Although it is most desirable that the people should also approach the holy
table, this is not required for the integrity of the sacrifice.
113. We wish in this matter to repeat the remarks which Our
predecessor Benedict XIV makes with regard to the definitions of the Council of
Trent: "First We must state that none of the faithful can hold that private
Masses, in which the priest alone receives holy communion, are therefore
unlawful and do not fulfill the idea of the true, perfect and complete unbloody
sacrifice instituted by Christ our Lord. For the faithful know quite well, or at
least can easily be taught, that the Council of Trent, supported by the doctrine
which the uninterrupted tradition of the Church has preserved, condemned the new
and false opinion of Luther as opposed to this tradition."[103] "If anyone shall
say that Masses in which the priest only receives communion, are unlawful, and
therefore should be abolished, let him be anathema."[104]
114. They, therefore, err from the path of truth who do not
want to have Masses celebrated unless the faithful communicate; and those are
still more in error who, in holding that it is altogether necessary for the
faithful to receive holy communion as well as the priest, put forward the
captious argument that here there is question not of a sacrifice merely, but of
a sacrifice and a supper of brotherly union, and consider the general communion
of all present as the culminating point of the whole celebration.
115. Now it cannot be over-emphasized that the eucharistic
sacrifice of its very nature is the unbloody immolation of the divine Victim,
which is made manifest in a mystical manner by the separation of the sacred
species and by their oblation to the eternal Father. Holy communion pertains to
the integrity of the Mass and to the partaking of the august sacrament; but
while it is obligatory for the priest who says the Mass, it is only something
earnestly recommended to the faithful.
116. The Church, as the teacher of truth, strives by every
means in her power to safeguard the integrity of the Catholic faith, and like a
mother solicitous for the welfare of her children, she exhorts them most
earnestly to partake fervently and frequently of the richest treasure of our
religion.
117. She wishes in the first place that Christians -
especially when they cannot easily receive holy communion - should do so at
least by desire, so that with renewed faith, reverence, humility and complete
trust in the goodness of the divine Redeemer, they may be united to Him in the
spirit of the most ardent charity.
118. But the desire of Mother Church does not stop here.
For since by feasting upon the bread of angels we can by a "sacramental"
communion, as we have already said, also become partakers of the sacrifice, she
repeats the invitation to all her children individually, "Take and eat. . . Do
this in memory of Me"[105] so that "we may continually experience within us the
fruit of our redemption"[106] in a more efficacious manner. For this reason the
Council of Trent, reechoing, as it were, the invitation of Christ and His
immaculate Spouse, has earnestly exhorted "the faithful when they attend Mass to
communicate not only by a spiritual communion but also by a sacramental one, so
that they may obtain more abundant fruit from this most holy sacrifice."[107]
Moreover, our predecessor of immortal memory, Benedict XIV, wishing to emphasize
and throw fuller light upon the truth that the faithful by receiving the Holy
Eucharist become partakers of the divine sacrifice itself, praises the devotion
of those who, when attending Mass, not only elicit a desire to receive holy
communion but also want to be nourished by hosts consecrated during the Mass,
even though, as he himself states, they really and truly take part in the
sacrifice should they receive a host which has been duly consecrated at a
previous Mass. He writes as follows: "And although in addition to those to whom
the celebrant gives a portion of the Victim he himself has offered in the Mass,
they also participate in the same sacrifice to whom a priest distributes the
Blessed Sacrament that has been reserved; however, the Church has not for this
reason ever forbidden, nor does she now forbid, a celebrant to satisfy the piety
and just request of those who, when present at Mass, want to become partakers of
the same sacrifice, because they likewise offer it after their own manner, nay
more, she approves of it and desires that it should not be omitted and would
reprehend those priests through whose fault and negligence this participation
would be denied to the faithful."[108]
119. May God grant that all accept these invitations of the
Church freely and with spontaneity. May He grant that they participate even
every day, if possible, in the divine sacrifice, not only in a spiritual manner,
but also by reception of the august sacrament, receiving the body of Jesus
Christ which has been offered for all to the eternal Father. Arouse Venerable
Brethren, in the hearts of those committed to your care, a great and insatiable
hunger for Jesus Christ. Under your guidance let the children and youth crowd to
the altar rails to offer themselves, their innocence and their works of zeal to
the divine Redeemer. Let husbands and wives approach the holy table so that
nourished on this food they may learn to make the children entrusted to them
conformed to the mind and heart of Jesus Christ.
120. Let the workers be invited to partake of this
sustaining and never failing nourishment that it may renew their strength and
obtain for their labors an everlasting recompense in heaven; in a word, invite
all men of whatever class and compel them to come in;[109] since this is the
bread of life which all require. The Church of Jesus Christ needs no other bread
than this to satisfy fully our souls' wants and desires, and to unite us in the
most intimate union with Jesus Christ, to make us "one body,"[110] to get us to
live together as brothers who, breaking the same bread, sit down to the same
heavenly table, to partake of the elixir of immortality.[111]
121. Now it is very fitting, as the liturgy otherwise lays
down, that the people receive holy communion after the priest has partaken of
the divine repast upon the altar; and, as we have written above, they should be
commended who, when present at Mass, receive hosts consecrated at the same Mass,
so that it is actually verified, "that as many of us, as, at this altar, shall
partake of and receive the most holy body and blood of thy Son, may be filled
with every heavenly blessing and grace."[112]
122. Still someTimes New Roman there may be a reason, and
that not infrequently, why holy communion should be distributed before or after
Mass and even immediately after the priest receives the sacred species - and
even though hosts consecrated at a previous Mass should be used. In these
circumstances - as we have stated above - the people duly take part in the
eucharistic sacrifice and not seldom they can in this way more conveniently
receive holy communion. Still, though the Church with the kind heart of a mother
strives to meet the spiritual needs of her children, they, for their part,
should not readily neglect the directions of the liturgy and, as often as there
is no reasonable difficulty, should aim that all their actions at the altar
manifest more clearly the living unity of the Mystical Body.
123. When the Mass, which is subject to special rules of
the liturgy, is over, the person who has received holy communion is not thereby
freed from his duty of thanksgiving; rather, it is most becoming that, when the
Mass is finished, the person who has received the Eucharist should recollect
himself, and in intimate union with the divine Master hold loving and fruitful
converse with Him. Hence they have departed from the straight way of truth, who,
adhering to the letter rather than the sense, assert and teach that, when Mass
has ended, no such thanksgiving should be added, not only because the Mass is
itself a thanksgiving, but also because this pertains to a private and personal
act of piety and not to the good of the community.
124. But, on the contrary, the very nature of the sacrament
demands that its reception should produce rich fruits of Christian sanctity.
Admittedly the congregation has been officially dismissed, but each individual,
since he is united with Christ, should not interrupt the hymn of praise in his
own soul, "always returning thanks for all in the name of our Lord Jesus Christ
to God the Father."[113] The sacred liturgy of the Mass also exhorts us to do
this when it bids us pray in these words, "Grant, we beseech thee, that we may
always continue to offer thanks[114] . . . and may never cease from praising
thee."[115] Wherefore, if there is no time when we must not offer God thanks,
and if we must never cease from praising Him, who would dare to reprehend or
find fault with the Church, because she advises her priests[116] and faithful to
converse with the divine Redeemer for at least a short while after holy
communion, and inserts in her liturgical books, fitting prayers, enriched with
indulgences, by which the sacred ministers may make suitable preparation before
Mass and holy communion or may return thanks afterwards? So far is the sacred
liturgy from restricting the interior devotion of individual Christians, that it
actually fosters and promotes it so that they may be rendered like to Jesus
Christ and through Him be brought to the heavenly Father; wherefore this same
discipline of the liturgy demands that whoever has partaken of the sacrifice of
the altar should return fitting thanks to God. For it is the good pleasure of
the divine Redeemer to hearken to us when we pray, to converse with us
intimately and to offer us a refuge in His loving Heart.
125. Moreover, such personal colloquies are very necessary
that we may all enjoy more fully the supernatural treasures that are contained
in the Eucharist and according to our means, share them with others, so that
Christ our Lord may exert the greatest possible influence on the souls of
all.
126. Why then, Venerable Brethren, should we not approve of
those who, when they receive holy communion, remain on in closest familiarity
with their divine Redeemer even after the congregation has been officially
dismissed, and that not only for the consolation of conversing with Him, but
also to render Him due thanks and praise and especially to ask help to defend
their souls against anything that may lessen the efficacy of the sacrament and
to do everything in their power to cooperate with the action of Christ who is so
intimately present. We exhort them to do so in a special manner by carrying out
their resolutions, by exercising the Christian virtues, as also by applying to
their own necessities the riches they have received with royal Liberality. The
author of that golden book The Imitation of Christ certainly speaks in
accordance with the letter and the spirit of the liturgy, when he gives the
following advice to the person who approaches the altar, "Remain on in secret
and take delight in your God; for He is yours whom the whole world cannot take
away from you."[117]
Ven. Pius XII : Das hochheilige Opfer des Altares wird mit der Teilnahme am göttlichen Mahl beschlossen.
Ven. Pius XII : Das eucharistische Opfer ist seiner Natur nach eine unblutige Hinopferung des göttlichen Opferlammes, was auf geheimnisvolle Weise durch die Trennung der heiligen Gestalten und durch ihre Darbringung an den ewigen Vater zum Ausdruck kommt. Die heilige Kommunion gehört zu dessen Vollständigkeit und zur Teilnahme daran mittels der hochheiligen sakramentalen Vereinigung; während diese für den opfernden Priester unbedingt erfordert ist, wird sie den Gläubigen nur dringend empfohlen.
Pius XII
Mediator Dei
301. Das hochheilige Opfer des Altares
wird mit der Teilnahme am göttlichen Mahl beschlossen. Wie alle wissen, gehört
aber nur die Kommunion des Priesters zur Vollständigkeit des Meßopfers; es ist
hingegen nicht erfordert, daß auch das Volk zum Tische des Herrn gehe, wiewohl
das höchst wünschenswert ist.
Diesbezüglich möchten Wir die Bemerkungen
wiederholen, die Unser Vorgänger Benedikt XIV. zu den Bestimmungen des Trienter
Konzils macht: „Zunächst müssen Wir sagen, daß niemand unter den Gläubigen auf
den Gedanken kommen darf, die privaten Messen. in denen der Priester allein die
heilige Eucharistie empfängt, würden dadurch die Eigenschaft des wahren,
vollkommenen und vollständigen, von Christus dem Herrn eingesetzten unblutigen
Opfers verlieren und seien deshalb als unerlaubt anzusehen. Die Gläubigen wissen
nämlich oder können wenigstens leicht darüber belehrt werden, daß das Trienter
Konzil auf Grund der von der kirchlichen Überlieferung aller Zeiten bewahrten
Lehre die ihr entgegengesetzte, neue und falsche Meinung Luthers verurteilt
hat“103
Wer sagt, die Messen, in denen der
Priester allein sakramental kommuniziert, seien unerlaubt und deshalb
abzuschaffen, der sei ausgeschlossen“104 lesen...
Ven. Pie XII : Que les fidèles considèrent donc à quelle dignité le bain sacré du baptême les a élevés, et qu’ils ne se contentent pas de participer au sacrifice eucharistique avec l’intention générale
Ven. Pie XII : Que les fidèles considèrent donc à quelle dignité le bain sacré du baptême les a élevés, et qu’ils ne se contentent pas de participer au sacrifice eucharistique avec l’intention générale qui convient aux membres du Christ et aux fils de l’Église, mais que, selon l’esprit de la sainte liturgie, librement et intimement unis au souverain Prêtre et à son ministre sur la terre, ils s’unissent à lui d’une manière particulière au moment de la consécration de la divine Hostie, et qu’ils l’offrent avec lui quand sont prononcées les solennelles paroles : " Par lui, avec lui, en lui, est à toi, Dieu Père tout-puissant, dans l’unité du Saint-Esprit, tout honneur et toute gloire dans les siècles des siècles " (Missale Rom., Canon Missae), paroles auxquelles le peuple répond : Amen. Et que les chrétiens n’oublient pas, avec le divin Chef crucifié, de s’offrir eux-mêmes et leurs préoccupations, leurs douleurs, leurs angoisses, leurs misères et leurs besoins.
Encyclique MEDIATOR DEI
de Sa Sainteté
le Pape PIE XII
SUR LA SAINTE LITURGIE
2. Participation en tant qu’ils doivent s’offrir
eux-mêmes comme victimes
Pour que l’oblation, par laquelle dans ce sacrifice ils
offrent au Père céleste la divine victime, obtienne son plein effet, il faut
encore que les chrétiens ajoutent quelque chose : ils doivent s’immoler
eux-mêmes en victimes. Cette immolation ne se réduit pas seulement au sacrifice
liturgique. Parce que nous sommes édifiés sur le Christ comme des pierres
vivantes, le prince des apôtres veut, en effet, que nous puissions, comme "
sacerdoce saint, offrir des victimes spirituelles agréables à Dieu par
Jésus-Christ " (I Pierre, II, 5) ; et l’apôtre Paul, parlant pour tous les
temps, exhorte les fidèles en ces termes : " Je vous conjure donc, mes frères…
d’offrir vos corps en hostie vivante, sainte, agréable à Dieu : c’est là le
culte spirituel que vous lui devez " (Rm XII, 1). Mais
lorsque les fidèles participent à l’action liturgique avec tant de piété et
d’attention qu’on peut dire d’eux : " Dont la foi et la dévotion te sont connues
" (Missale Rom., Canon Missae), alors il est impossible que leur foi à chacun
n’agisse avec plus d’ardeur par la charité, que leur piété ne se fortifie et ne
s’enflamme, qu’ils ne se consacrent, tous et chacun, à procurer la gloire de
Dieu et, dans leur ardent désir de se rendre étroitement semblables à
Jésus-Christ qui a souffert de très cruelles douleurs, il est impossible qu’ils
ne s’offrent avec et par le souverain Prêtre, comme une hostie spirituelle.
a. En purifiant leur âme
Ceci est également enseigné dans les exhortations que
l’évêque, au nom de l’Église, adresse aux ministres sacrés le jour où il les
consacre : " Rendez-vous compte de ce que vous accomplissez, imitez ce que vous
faites et en célébrant le mystère de la mort du Seigneur faites mourir
complètement en vos membres les vices et les concupiscences " (Pontif Rom., De Ordinatione presbyteri). C’est presque dans les mêmes termes que, dans
les livres liturgiques, les chrétiens qui s’approchent de l’autel sont invités à
participer aux cérémonies : " Que sur cet autel soit honorée l’innocence, immolé
l’orgueil, étouffée la colère ; que la luxure et tout dérèglement soient frappés
à mort ; qu’en guise de tourterelles soit offert le sacrifice de la chasteté, et
au lieu des petits de colombe, le sacrifice de l’innocence " (Ibidem, De altaris consecrat., Praefatio) . Lorsque nous sommes à l’autel, nous devons donc
transformer notre âme, tout ce qui est péché en elle doit être complètement
étouffé, tout ce qui, par le Christ, engendre la vie surnaturelle doit être
vigoureusement restauré et fortifié, si bien que nous devenions, avec l’Hostie
immaculée, une seule victime agréable au Père éternel.
La sainte Église s’efforce, par les préceptes de la sainte
liturgie d’obtenir la réalisation de cette très sainte intention de la manière
la plus adaptée. A cela, en effet, visent non seulement les lectures, les
homélies et les autres discours des ministres sacrés, et tout le cycle des
mystères qui sont proposés à notre mémoire tout au long de l’année, mais encore
les vêtements et les rites sacrés et toutes leurs cérémonies extérieures qui ont
pour but de " faire valoir la majesté d’un si grand sacrifice, et par ces signes
visibles de religion et de piété, d’exciter les esprits des fidèles à la
contemplation des réalités les plus profondes cachées dans ce sacrifice " (cf.
Conc. Trid., Sess. XXII,
cap. 5).
b. En reproduisant l’image de Jésus-Christ
Tous les éléments de la liturgie incitent donc notre âme à
reproduire en elle par le mystère de la croix l’image de notre divin Rédempteur,
selon ce mot de l’Apôtre : " Je suis attaché à la croix avec le Christ ; je vis,
mais ce n’est plus moi qui vis, c’est le Christ qui vit en moi " (Ga II, 19-20). Par là, nous devenons hostie avec le Christ
pour la plus grande gloire du Père.
C’est donc vers cet idéal que les chrétiens doivent
orienter et élever leur âme quand ils offrent la divine victime dans le
sacrifice eucharistique. Si, en effet, comme l’écrit saint Augustin, sur la
table du Seigneur lui-même repose notre mystère (cf. Serm. CCLXXII.) c’est-à-dire le
Christ Seigneur lui-même, en tant qu’il est Chef et symbole de cette union par
laquelle nous sommes le Corps du Christ (cf. I Cor XII, 27) et les membres de
son Corps (cf. Ep V, 30) ; si saint Robert Bellarmin
enseigne, selon l’esprit du docteur d’Hippone, que dans le sacrifice de l’autel
est exprimé le sacrifice général par lequel tout le Corps mystique du Christ,
c’est-à-dire toute la cité rachetée, s’offre à Dieu par le Christ, Grand Prêtre
(cf. S. Robert Bellarmin, De Missa. II, cap. 8), on ne peut rien imaginer de
plus convenable et de plus juste que de nous immoler tous au Père éternel avec
notre Chef qui a souffert pour nous. Dans le sacrement de l’autel, en effet,
selon le même Augustin, il est démontré à l’Église que dans le sacrifice qu’elle
offre, elle est offerte, elle aussi (cf. De Civ. Dei, lib. X, cap. 6).
Que les fidèles considèrent donc à quelle dignité le bain
sacré du baptême les a élevés, et qu’ils ne se contentent pas de participer au
sacrifice eucharistique avec l’intention générale qui convient aux membres du
Christ et aux fils de l’Église, mais que, selon l’esprit de la sainte liturgie,
librement et intimement unis au souverain Prêtre et à son ministre sur la terre,
ils s’unissent à lui d’une manière particulière au moment de la consécration de
la divine Hostie, et qu’ils l’offrent avec lui quand sont prononcées les
solennelles paroles : " Par lui, avec lui, en lui, est à toi, Dieu Père
tout-puissant, dans l’unité du Saint-Esprit, tout honneur et toute gloire dans
les siècles des siècles " (Missale Rom., Canon Missae), paroles auxquelles le peuple répond : Amen. Et que
les chrétiens n’oublient pas, avec le divin Chef crucifié, de s’offrir eux-mêmes
et leurs préoccupations, leurs douleurs, leurs angoisses, leurs misères et leurs
besoins.
Ven. Pio XII : Esta inmolación no se limita solamente al Sacrificio litúrgico.
Quiere, en efecto, el Príncipe de los Apóstoles, que por el mismo hecho de que hemos sido edificados como piedras vivas sobre Cristo, podamos como «Sacerdocio santo ofrecer sacrificios espirituales aceptos a Dios por Jesucristo» (I Petr. 2, 5), y San Pablo Apóstol, sin ninguna distinción de tiempo, exhorta a los cristianos con las siguientes palabras: «Yo os ruego, hermanos, que ofrezcáis vuestros cuerpos como hostia viva, santa, grata a Dios; éste es vuestro culto racional» (Rom. 12, 1)
"Mediator
Dei"
Sobre la Sagrada Liturgia
20 de noviembre de 1947
Sobre la Sagrada Liturgia
20 de noviembre de 1947
2° Se ofrecen a sí mismos como
víctimas.
120. Para que la oblación, con
la que en este Sacrificio ofrecen la Víctima divina al Padre celestial, tenga su
pleno efecto, es necesaria todavía otra cosa, a saber: Que se inmolen a sí
mismos como víctimas.
121. Esta inmolación no se
limita solamente al Sacrificio litúrgico. Quiere, en efecto, el Príncipe de los
Apóstoles, que por el mismo hecho de que hemos sido edificados como piedras
vivas sobre Cristo, podamos como «Sacerdocio santo ofrecer sacrificios
espirituales aceptos a Dios por Jesucristo» (I Petr. 2, 5), y San Pablo Apóstol,
sin ninguna distinción de tiempo, exhorta a los cristianos con las siguientes
palabras: «Yo os ruego, hermanos, que ofrezcáis vuestros cuerpos como hostia
viva, santa, grata a Dios; éste es vuestro culto racional» (Rom. 12,
1).
122. Pero sobre todo cuando
los fieles participan en la acción litúrgica con tanta piedad y atención, que se
puede verdaderamente decir de ellos: «cuya fe y devoción Te son bien conocidas»
(5), no puede ser por menos de que la fe de cada uno actúe más ardientemente por
medio de la caridad, se revigorice e inflamé la piedad y se consagren todos a
procurar la gloria divina, deseando con ardor hacerse íntimamente semejantes a
Cristo, que padeció acerbos dolores, ofreciéndose con el mismo Sumo Sacerdote y
por medio de El, como víctima espiritual.
23. Esto enseñan también las
exhortaciones que el Obispo dirige en nombre de la Iglesia a los Sagrados
Ministros en el día de su Consagración: «Daos cuenta de lo que hacéis, imitad lo
que tratáis cuando celebréis el Misterio de la Muerte del Señor, procurad bajo
todos los aspectos mortificar vuestros miembros de los vicios y de las
concupiscencias» (6). Y casi del mismo modo en los libros litúrgicos son
exhortados los cristianos que se acercan al Altar para que participen en los
Sagrados Misterios: «Esté... sobre este Altar el culto de la inocencia, inmólese
en él la soberbia, aniquílese la ira, mortifíquese la lujuria y todas las
pasiones, ofrézcanse en lugar de las tórtolas el sacrificio de la castidad y en
lugar de las palomas el sacrificio de la inocencia» (7). Al asistir al Altar
debemos, pues, transformar nuestra alma de forma, que se extinga radicalmente
todo pecado que hoya en ella, que todo lo que por Cristo da la vida sobrenatural
sea restaurado y reforzado con todo diligencia, y así nos convirtamos juntamente
con la Hostia inmaculada, en una víctima agradable a Dios
Padre.
124. La Iglesia se esfuerza
con los preceptos de la Sagrada Liturgia en llevar a efecto de la manera más
apropiada este santísimo precepto. A esto tienden no sólo las lecturas, las
homilías y las otras exhortaciones de los ministros sagrados y todo el ciclo de
los misterios que nos son recordados durante el año, sino también las
vestiduras, los ritos sagrados y su aparato externo, que tienen la misión de
«hacer pensar en la majestad de tan grande sacrificio, excitar las mentes de los
fieles por medio de los signos visibles de piedad y de religión, a la
contemplación de las altísimas cosas ocultas en este Sacrificio»
(8).
125. Todos los elementos de la
Liturgia tienden, pues, a reproducir en nuestras almas la imagen del Divino
Redentor, a través del misterio de la Cruz, según el dicho del Apóstol de los,
Gentiles: «Estoy crucificado con Cristo, y ya no vivo yo, es Cristo quien vive
en mí» (Gal. 2, 19-20). Por cuyo medio nos convertirnos en víctima juntamente
con Cristo, para la mayor gloria del Padre.
26. A esto, pues, deben
dirigir y elevar su alma los fieles que ofrecen la Víctima divina en el
sacrificio eucarístico. Si, en efecto, como escribe San Agustín, «en la mesa del
Señor está puesto nuestro Misterio» (9), esto es, el mismo Cristo. Nuestro
Señor, en cuanto es Cabeza y símbolo de aquella unión, en virtud de la cual
nosotros somos el Cuerpo de Cristo y miembros de su Cuerpo; si San Roberto
Bellarmino enseña, según el pensamiento del Doctor de Nipona, que en el
Sacrificio del Altar está significado el sacrificio general con que todo el
Cuerpo Místico de Cristo, esto es, toda la ciudad redimida es ofrecida a Dios
por medio de Cristo Sumo Sacerdote, nada se puede encontrar más recto y más
justo que el inmolarnos todos nosotros con Nuestra Cabeza, que por nosotros ha
sufrido, al Padre Eterno. En el Sacramento del Altar, según el misma San
Agustín, se demuestra a la Iglesia que en el Sacrificio que ofrece es ofrecida
también Ella.
3° Recapitulación.
27. Consideren, pues, los
fieles a qué dignidad los eleva el Sagrado Bautismo y no se contenten con
participar en el Sacrificio Eucarístico con la intención general que conviene a
los miembros de Cristo e hijos de la Iglesia, sino que libremente e íntimamente
unidos al Sumo Sacerdote y a su Ministro en la tierra, según el espíritu de la
Sagrada Liturgia, únanse a él de modo particular en el momento de la
Consagración de la Hostia Divina y ofrézcanla conjuntamente con él cuando son
pronunciadas aquellas solemnes palabras: «Por El, en El y con El a Ti, Dios
Padre Omnipotente, sea dado todo honor y gloria por los siglos de los siglos»
(10), a las que el pueblo responde: «Amén«». Ni se olviden los cristianos de
ofrecerse a sí mismos con la Divina Cabeza Crucificada, así como sus
preocupaciones, dolores, angustias, miserias y
necesidades.
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