quinta-feira, 14 de novembro de 2013

P. Mateo Crawley, IL SANTO SACRIFICIO DELLA SANTA MESSA

IL SANTO SACRIFICIO DELLA SANTA MESSA

P. Mateo Crawley, CC.SS.

Inno di Gloria

L'unico degno della Santissima Trinità

"All'Augusta Trinità, per Gesù Cri­sto, Sommo ed Eterno sacerdote, omaggio di riconoscenza e di amore riparatore, in occasione dei miei cin­quanta anni di sacerdozio. Magnificat! Miserere! Adveniat!" (17 dicembre 1898-1948)

Il mistero della divina Eucaristia comprende due meravi­gliosi capitoli: il Santo Sacrificio della Messa, fonte divina, inesauribile di grazia... e il Santo Sacrificio dell'Altare che, sotto il punto di vista teologico, è il Consummatum est, la con­sumazione liturgica del Sacrificio.

Normalmente entrambi dovrebbero restare spiritualmente uniti.

Disgraziatamente succede spesso che, senza un motivo sufficiente, si separa l'uno dall'altro, non senza detrimento per la vita eucaristica come pure per la vita spirituale. Il Santo Sacrificio è la fonte di vita divina da cui deriva il torrente sacro che è il Sacramento... Così la Santa Comunione e il Santo Tabernacolo sono torrenti di grazie che sgorgano dal Sacrificio.

Stabiliamo subito, con due affermazioni tanto categori­che quanto dottrinali, la differenza reale che esiste tra l'uno e l'altro.

Il Sacrificio è l'Offerta che il Verbo fa di Se stesso al Padre con queste parole: "Ecco lo vengo, o Dio, per fare la tua volontà" (Eb X, 7) - "Si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di Croce" (Fil II, 8). Il Sacrificio è dunque la realizzazione ineffabile, sull'Altare come sul Calvario, di que­ste parole: "Tradidit semetipsum"! (Ef V, 2). Per la gloria del Padre e la redenzione dell'uomo colpevole, il Figlio di Dio si abbandona in olocausto al Padre... Abbandono mille volte sublime che si potrebbe glossare con queste povere parole: "Padre, poiché tu vuoi che io muoia, sia fatta la tua volontà!... Sì, mi sono incarnato per poter morire crocifisso, perché vo­glio essere tua Vittima di lode e di propiziazione. Io voglio, Padre, glorificarti tanto e molto più di quanto il peccato ti ab­bia oltraggiato".

E che cos'è il Santo Sacramento? Dopo essersi così ab­bandonato al Padre, il Figlio si volge verso di noi, suoi "filioli", i suoi piccoli figli, e ci dice: "Il Banchetto reale è già pronto, venite dunque tutti, mangiate il mio Corpo, bevete il mio San­gue. Ora io mi do a voi... Venite. Io sono la Manna discesa dal Cielo. Io sono il vostro Nutrimento e il vostro Pane. Io sarò Gesù-Ostia, tutto vostro, fino alla consumazione dei se­coli".

Nel Sacrificio, il Verbo fatto carne si dà al Padre quale Ostia. Nel Sacramento, sempre quale Ostia, si dà alla Chiesa e al popolo fedele.


È dunque chiaro che Gesù-Vittima è assolutamente la stes­sa Ostia nel Sacrificio e nel Sacramento. Ma l'Ostia del Sa­crificio non è offerta che al Padre... mentre l'Ostia del Sacra­mento è data e abbandonata ai fedeli.

Se l'eccellenza tutta divina dell'Ostia nel Sacrificio e nel Sacramento è assolutamente identica, la qualità di colui che la riceve differisce in una misura... infinita. Nel Sacrificio è il Padre, la cui eccellenza è infinita, che riceve Gesù-Ostia. E nel Sacramento colui che Lo riceve è l'abisso di niente e di peccato, che siamo noi tutti.

La consumazione della Vittima nella Santa Comunione costituisce la consumazione liturgica del Sacrificio. Ciò è tal­mente vero che, secondo le parole di Sua Santità Pio XII nella enciclica Mediator Dei, la Comunione "è assolutamente ne­cessaria da parte del ministro sacrificatore". Ma non ci sa­rebbe né Santa Comunione, né Santo Tabernacolo, né pertan­to esposizione e visita del Santo Sacramento, senza la Santa Messa che rinnova sull'Altare la Presenza reale.

La Santa Messa, liturgicamente considerata, comprende tre parti e cioè:

- l'oblazione o Offertorio;

- la Consacrazione delle due specie che costituisce il centro e l'essenza stessa del Sacrificio; - e la Santa Comunione che ne è il compimento, la consumazione richiesta dal Sacrificio della Messa.

E chi offre la Santa Messa? Tre persone, ma la cui opera­zione è di una virtù liturgica molto differente.

Anzitutto l'adorabile Pontefice, il Cristo-Gesù, il "Som­mo Sacerdote secondo l'Ordine di Melchisedech" (EbV, 10). Egli è al tempo stesso e il divino Officiante e anche la sacro­santa Oblazione sacramentale.

Poi, per Lui, con Lui e in Lui l'altro Cristo, che è il Sa­cerdote, ordinato Ministro ufficiale espressamente per offrire il Santo Sacrificio. "Sacerdotium propter sacrificium", il Sa­cerdote è stato istituito per offrire il Sacrificio. Egli, mentre compie all'Altare questa "maxima actio", è investito del Sa­cerdozio e del potere di Cristo, in virtù delle parole pronun­ziate dal Salvatore nell'ultima Cena: "Fate questo in memoria di Me" (Lc XXII, 19).

Ed infine, con una specie di concomitanza spirituale, i fe­deli offrono il Sacrificio insieme con il Sacerdote, ma in una misura limitata e discreta, soltanto nell'Offertorio e nella Co­munione della Vittima. Perciò, perché la Messa è essenzial­mente un culto sociale e pubblico, la Chiesa esige sempre la presenza all'Altare di un rappresentante del popolo che è co­lui che serve la Messa o il chierichetto. Costui, nella sua fun­zione ufficiale, in quanto "luogotenente" del popolo, deve pre­sentare al Celebrante il vino e l'acqua. E in virtù sempre della sua qualità di "deputato", egli avvia con il Sacerdote quel dia­logo che, nei primi secoli della Chiesa, fu la forma liturgica stabilita per la celebrazione del Santo Sacrificio.


È con immensa soddisfazione che constatiamo che da qual­che tempo si predica e si scrive molto sulla S. Messa. E grazie a ciò, lo riconosciamo, i fedeli hanno fatto un grande passo verso l'Altare, manifestando una fede più illuminata e più co­sciente.

Ammettiamo, tuttavia, che si è ancora lontani dall'ideale perseguìto dalla Chiesa in questa questione così importante... Ahimè! sono ancora troppi i buoni che mancano di una solida istruzione, del catechismo... Ahimè, sono legione quelli che vengono alla Messa unicamente o quasi per comunicarsi, e non, certamente, per prendere parte al Sacrificio, non per glo­rificare la SS.ma Trinità... Per quante anime pie la divina Eucaristia si riduce al Pane consacrato che si distribuisce alla Sacra Tavola!

La S. Messa è per costoro una bella cerimonia liturgica durante la quale si suole fare la S. Comunione. La Messa non è dunque per essi il grande Sacrificio, vero centro della Chie­sa, ma soltanto la chiave d'oro che apre il Tabernacolo quan­do, per devozione privata, si vuole ricevere Gesù-Ostia... È perciò che, durante la Messa, si recitano delle novene, dei ro­sari, inconsapevoli o quasi del Dramma divino che si svolge sull'Altare. Io l'ho detto: ci sono di quelli che separano il Sa­crificio dal Sacramento.

Come ha ragione quel gran teologo che ha scritto: "Colui che non apprezza la S. Messa non sarà mai un'anima vera­mente eucaristica; non apprezzerà mai la S. Comunione, an­che se la riceve tutti i giorni"... In effetti, l'ignoranza e l'abi­tudine unite insieme hanno in questo caso un ruolo nefasto. Esse fanno del S. Sacramento una devozione insipida e senza sostanza, come un latte scremato!


E che cosa dicono il Catechismo e la Teologia sul Santo Sacrificio? Prima di entrare direttamente in questo argomento impegnativo, ci tengo a fare un'osservazione di estrema im­portanza.

Scrivendo questo capitolo io voglio assolutamente offrire ai cari lettori un pane di luce per lo spirito, ma anche un pane consa­crato per il cuore. Voglio dire che, con questa esposizione, io mi propongo, certamente, di dare una grande luce che dia una pro­fonda convinzione soprannaturale sul mistero dei nostri Altari. Sì, io voglio chiarire e istruire, perché la fede del "carbonaro" non è più dei nostri giorni. Ma io voglio anche, ci tengo soprattut­to a riscaldare le anime nell'amore di Gesù Cristo. E tanto più lo voglio perché vi sono dei buoni libri che producono solo una scarica di luce elettrica, terribilmente fredda.

Voglia, a questo scopo, il Cuore di Gesù animare il mio pensiero e la mia penna perché io possa scrivere con la fiam­ma di una grande unzione!

Sì, io vorrei tanto infiammare tutti coloro che mi leggono. Come sarei contento se i miei lettori potessero parla­re come quello studente che scriveva ad un suo amico Sacer­dote: "Padre, il vostro libro riscalda la mia anima, il vostro stile mi fa piangere e le mie mani nel girare le pagine, brucia­no... Mi domando come la vostra penna, arroventata, possa ancora resistere e scrivere!".

Perché non sarebbe possibile unire, in perfetta fratellanza, molta dottrina e molta unzione, un ragionamento solido e un grande amore? Perché no? Per quale motivo, parlando delle cose divine, bisogna stabilire un divorzio tra la testa e il cuo­re?... Perché questa strana anomalia? Bisogna certamente il­luminare, è un bisogno tanto nobile quanto indispensabile; ma bisogna nello stesso tempo edificare e accendere una fiamma di carità. Il Vangelo ce ne dà un meraviglioso esempio; è al tempo stesso sole che illumina e sole che vivifica con il calore della carità. "Ego sum lux mundi"; dice il Maestro (Gv VIII, 12). E aggiunge: "Io sono venuto a portare il fuoco sulla ter­ra"... (Lc XII, 49). "Venite a Me voi tutti" (Mt XI, 28).

Per niente al mondo vorrei dare la delusione di scrivere un libro che sia uno scheletro disincarnato senza l'anima dell'amo­re! E che? L'Amore di Dio non è il più alto vertice e la sostan­za della più autentica teologia? Ricordiamoci che il genio che scrisse la "Somma" incomparabile, compose anche il capola­voro che è la Messa del Santissimo Sacramento. Io non invi­dio il cervello meraviglioso del Dottore Angelico, ma invidio la fiamma del suo cuore sacerdotale, perché io sono sacerdote come lui.

La Chiesa, d'altronde, lo dice molto bene in questa invo­cazione bella e semplice nello stesso tempo: "Intellectum illu­mina", illumina la mia intelligenza, "Affectum infiamma", in­fiamma il mio cuore! entrambe le cose: la luce apre la via alla grazia, e l'amore completa e rende efficace la sua azione.

Il Sacrificio


Un 25 marzo, lo Spirito Santo dando al Verbo di Dio un corpo nel seno verginale di Maria, Lo consacrò Sommo Sa­cerdote per la gloria della Trinità e Lo costituì Vittima redentrice d'Adamo e della sua discendenza... Così afferma la Chiesa nell'Orazione della bellissima Messa di Gesù Cristo Sommo Sacerdote: "O Dio che, per la gloria della Vostra Maestà e per la redenzione del genere umano, avete costituito il Vostro Unigenito Figlio sommo ed eterno Sacerdote" (Mes­sale).

Per l'Incarnazione il Figlio di Dio diveniva, in quanto Fi­glio dell'uomo, passibile, capace di soffrire, di agonizzare e di morire, Lui, l'immortalità e la vita. Incarnandosi per fare la volontà del Padre, il Verbo si consegnò Lui stesso alla morte: "quia Ipse voluit" (Is LIII, 7).

Infatti, era disceso come Messia e Salvatore: "salvum facere quod perierat" (Lc XIX, 10). Veniva espressamente per divenire l'olocausto di immenso valore del Sacrificio per ec­cellenza, quello della nuova Alleanza. Ah! com'è commo­vente e sconvolgente considerare che, potendoci salvare su un Tabor risplendente di gloria e di delizie, Egli ha scelto per amore la follia e l'ignominia della Croce!

Detto ciò, con l'animo pieno di gaudio, entriamo nell'ar­gomento. Voglia Iddio che, grazie a questa meditazione, le anime si sentano perdutamente innamorate dell'augusto Mi­stero di cui parliamo. Più che mai lo Spirito Santo sia con me! Che cos'è la Messa, secondo la Chiesa? Il Santo Sacrifi­cio è l'Adorazione di Gesù Cristo, l'Uomo Dio, che loda il Padre e la Trinità sull'Altare come sul Calvario, che Lo glori­fica come Lo glorificava in cielo "prima che il mondo fosse" (Gv XVII, 5). - Sì, il Figlio di Dio, Pontefice e Ostia, Dio Lui stesso, adora Dio suo Padre.

La sua Adorazione è divina!

Che cos'è fondamentalmente il Dramma eucaristico? Il S. Sacrificio è l'Espiazione perfetta che Gesù Cristo, Uomo-Dio, offre sull'Altare al Padre gravemente offeso dalla ribellione criminale del peccato. E dunque Lui, l'Agnello senza mac­chia, si immola dall'aurora al tramonto e offre il suo Sangue prezioso in olocausto di Propiziazione per i nostri innumere­voli peccati, e così salva i peccatori!

La sua Espiazione è divina!

Teologicamente che cos'è la S. Messa? Il S. Sacrificio è l'Eucaristia o Azione di ringraziamento che Gesù Cristo, l'Uo­mo Dio, offre al Padre, in nome dei figli colmati di doni, ma così ingrati! Senza questa Azione di grazie suprema la nostra nera ingratitudine attirerebbe l'ira divina. Ah! per quanti be­nefici spirituali e temporali noi dobbiamo essere riconoscenti al Cielo! ... Per il Battesimo di acqua; per il Battesimo di san­gue sul Calvario; per il Battesimo di fuoco nel Cenacolo, la meravigliosa Pentecoste; per la nostra filiazione di figli adot­tivi del Padre. Per l'oceano di grazie dei Sacramenti. Per l'Ar­ca di salvezza che è la Chiesa e, in essa, per la roccia del Pon­tificato romano. Per la Maternità divina e la mediazione uni­versale di Maria, e per tutti i suoi privilegi che sono altrettante grazie per noi. Per il Dono dei doni che è l'Eucaristia-Sacrifi­cio e l'Eucaristia-Sacramento fino alla consumazione dei se­coli: "In finem dilexit eos" (Gv XIII, 1).

Il suo Ringraziamento è divino!

Che cos'altro è questo prodigio inaudito dell'Altare? - Il S. Sacrificio è 1'Impetrazione di Gesù Cristo, l'Uomo-Dio, che, con piena conoscenza della nostra grande indigenza mo­rale, domanda al Padre, con pari sapienza e misericordia, una pioggia di benedizioni e di grazie che solo Lui conosce e che solo Lui può ottenere... Perché Egli ha detto: "Il Padre Mi ascolta sempre" (Gv XI, 42).

È il nostro Avvocato il cui grido sale incessantemente in nostro favore fino al Trono dell'Altissimo. Molto meglio di Mosè, Gesù Cristo sull'Altare alza le mani supplicanti e tra­fitte e ci protegge contro i rigori della Giustizia. Ed è perciò che i favori che Egli ci ottiene superano di gran lunga il nume­ro dei nostri delitti.

La sua Impetrazione è divina!

Non possiamo meglio chiudere e coronare queste rifles­sioni gravi e commoventi se non riportando qui la definizione testuale del S. Sacrificio data da Sua Santità Pio XII. Egli dice. "Il Sacrificio eucaristico consiste essenzialmente nell'immo­lazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente indicata dalla separazione delle Sante Specie e dall'oblazione fatta all'Eterno Padre. La S. Comunione ap­partiene all'integrità del Sacrificio e alla partecipazione ad esso per mezzo della comunione dell'augusto Sacramento; ma, mentre è assolutamente necessaria da parte del Ministro sacrificatore, ai fedeli essa è solamente da raccomandarsi vi­vamente".

Fermiamoci qui, perché la bellezza di queste riflessioni esige un commento, breve, ma pieno di luce e di fuoco. Rom­peremo, perciò, in briciole saporite questo pane di dottrina. Che esse non vadano perdute! Prendetele, mangiatele con amore!

La voce del Cristo, Pontefice e Mediatore, che adora, che espia, che ringrazia e che domanda al Santo Altare è davvero la voce della Chiesa cattolica. Infatti, la Santa Messa è l'omag­gio ufficiale, sociale e pubblico dell'umanità redenta e cristia­na, che attraverso le labbra e le piaghe del Cristo Mediatore adora, loda e benedice all'Altare il Dio-Uno nelle sue tre adorabili Persone. Ecco perché una sola Messa rende gloria a Dio più di tutti i miracoli e della lode della Corte celeste degli Angeli e dei Santi. È un Dio che all'Altare adora e loda Dio con una lode infinita.

La Messa è dunque un omaggio divino, quello del Sacrifi­cio, e una preghiera collettiva, mai un culto di devozione pri­vata come le visite al Santissimo Sacramento, la Via Crucis, il Rosario. È il grande grido cattolico della famiglia cristiana che soffre in questo esilio la nostalgia del Cielo.

Per Lui, con Lui, in Lui


Per ben cogliere l'imponente maestà della Messa, evoche­rò ora, e con grande emozione, un gesto del Celebrante che riassume mirabilmente tutto l'ideale della glorificazione del Padre e della Trinità per mezzo dell'adorabile Pontefice e Mediatore della Santa Messa.

Mi sembra che in quel momento, mille volte sublime, i nove cori degli Angeli, tutta l'Assemblea dei Santi e il Purga­torio, circondando da vicino il Celebrante, debbano bere le sue parole e stare sospesi ai suoi gesti, pieni di una divina maestà.

Poco dopo la Consacrazione il Sacerdote, tenendo nella sua mano destra l'Ostia divina, traccia con Essa cinque croci sul prezioso Sangue del Calice dicendo: "Per Lui, con Lui, e in Lui a Te Dio Padre Onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria"! E nel dire ciò, solleva insieme verso il cielo l'Ostia Santa e il Calice.

Sottolineiamo calorosamente la grandezza inesprimibile di questo gesto che sembrerebbe divino...

Lo stesso geniale S. Paolo, discendendo dal terzo cielo, avrebbe trovato l'eloquenza necessaria per spiegarci tutta la maestà di questa formula liturgica, ricca di un significato infi­nito?

Per Lui, l'Uomo-Dio di Betlemme, del Tabor e del Calva­rio, realmente presente tra le mani del Sacerdote, come lo fu nelle mani di Sua Madre...

Con Lui, l'Uomo-Dio crocifisso, morto e risuscitato... che è salito al Cielo e che è assiso, come Dio, alla destra del Pa­dre, e al quale il Padre ha conferito ogni potere in cielo e in terra...

In Lui, l'Uomo-Dio per mezzo del quale e per il quale tutto è stato fatto, e che è stato costituito Re immortale e il Giudice che verrà sulle nubi del cielo per giudicare i vivi e i morti...

Sì, per Lui, con Lui e in Lui, sia gloria infinita all'augusta e adorabile Trinità!

Se in quel momento un bagliore miracoloso illuminasse il celebrante rivelandogli il significato di quel gesto, egli mor­rebbe, non di paura, ma di sorpresa e di gaudio! Solo la Vergi­ne Madre ebbe l'insigne privilegio di superare il Sacerdote con l'oblazione che fece del Figlio al Padre, a Betlemme, al Tempio di Gerusalemme e sul Calvario.

Non è dunque la Messa l'inno ufficiale della gloria, il solo degno dell'augusta Trinità?

E a questo fine assaporiamo dilettandocene una magnifica strofa di questo inno, quale Gesù Cristo stesso lo ha insegnato agli apostoli e quale Egli lo canta all'Altare con la liturgia e la voce della Chiesa: "Padre Nostro che sei nei Cieli... Padre, sia santificato il tuo nome!... Padre, venga il tuo regno!... Padre, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra!".

Oh, pensate che 1'Orante che così prega è niente di meno che il Verbo Incarnato, il Figlio di Dio e di Maria che, all'Al­tare esalta la gloria di Colui che è suo e nostro Padre! Si può perciò affermare che la creazione dell'universo dal niente è soltanto una scintilla di gloria, paragonata alla gloria che Gesù, Sommo Sacerdote, rende all'Altare alle Tre Persone dell'augusta Trinità.

E ora, fissando i nostri occhi e il nostro cuore sul Golgota dell'Altare, facciamo un'audace supposizione, creazione molto legittima e verosimile della nostra fantasia... Il Signore stesso se ne è servito per dipingere gli inimitabili quadri dei suoi discorsi pieni di immagini e delle sue incomparabili parabole. Ecco: supponiamo, che al tempo degli Imperatori romani Augusto e Tiberio, si fossero già scoperti e anche diffusi i meravigliosi apparecchi "Registratori-Radio-Televisione", ma ancora più perfezionati che ai nostri giorni. E supponiamo che Cesare, informato dai suoi agenti dell'emozione prodotta in Palestina dalla predicazione di Gesù e dalla risoluzione del Sinedrio di farLo morire, avesse ordinato a Pilato di inviare a Roma, con il dossier del processo, un film del dramma della crocifissione del preteso Re dei Giudei. Quale non sarebbe la nostra indicibile emozione se questo film audio-visivo, ripro­duzione esatta, grafica del deicidio del Venerdì santo, si svol­gesse nelle Chiese, prima del Santo Sacrificio della Messa, davanti ai nostri occhi! Questo film sarebbe una sorta di visio­ne di ordine naturale e scientifico del dramma divino dei no­stri Altari. Ci permetterebbe di ascoltare le sette parole di Gesù e anche le bestemmie di cui i nemici abbeverarono la Vittima divina. Noi vedremmo con i nostri occhi ciò che videro i tre testimoni fedeli, Maria, Giovanni e Maddalena. Noi assiste­remmo come loro a ciò che fu la scena del Calvario, da mez­zogiorno alle tre del pomeriggio, in quel Venerdì Santo.

Ebbene, esattamente così, ma infinitamente di più, è la meravigliosa realtà che la Fede, che non può ingannarci, mo­stra ai credenti attraverso un velo sottile e trasparente, quan­do, ben istruiti e devoti, assistiamo al Santo Sacrificio. Questo film avrebbe rappresentato un fatto passato, come la Sindone di Torino, mentre la S. Messa ci offre una realtà attuale e pre­sente.

In effetti, sono venti secoli che nella Chiesa cattolica una Messa, tre volte santa e ininterrotta, è stata sempre celebrata, quella del Venerdi Santo, esattamente quella di cui Gesù Cro­cifisso fu nello stesso tempo Pontefice e Vittima. È questa stessa Messa, rinnovata, riprodotta, prolungata attraverso i secoli, che è essenzialmente la nostra Messa quotidiana... Ancora una volta, non un bel simbolo religioso, non un film ammirabile, registrato, diciamo così, dagli-Angeli; no, ma la stupenda e divina realtà del Calvario, esattamente riprodotta sull'Altare, eccetto la sofferenza e il versamento di sangue, dato che la Vittima eucaristica è oggi impassibile perché gloriosa.

Sulla base di questi princìpi, il Concilio di Trento dichiara che il Santo Sacrificio compie, innanzi tutto, un'opera di stretta giustizia, pagando il riscatto delle nostre colpe con il "Sangue dell'Agnello che toglie i peccati del mondo".

È dunque un fatto certo, di ordine soprannaturale, che il Santo Sacrificio ci salva placando la divina Giustizia, offren­do nel Calice il prezzo stesso già offerto sul Calvario. Senza questo riscatto, il solo adeguato, i nostri delitti non avrebbero remissione. Ma fortunatamente Gesù è morto gridando: "Pa­dre, perdona loro!".

Una volta che l'opera di rigorosa giustizia è compiuta, la misericordia risplende come un sole sfolgorante. La riconci­liazione è suggellata tra il cielo e la, terra ribelle... Ma Dio esige che noi applichiamo costantemente alle cicatrici delle nostre anime peccatrici il Sangue redentore. Ah! versato una volta sul Calvario, esso riempie il Calice del Santo Sacrificio.

Bisogna però far notare chiaramente la differenza tra il Golgota in Gerusalemme e il Calvario dei nostri Altari. Que­sto è un Tabor glorioso, anche se sempre imporporato di un

La S. Comunione


Ecco un'altra briciola deliziosa che ha tutto il sapore del Sangue dell'Agnello!

Parliamo della S. Comunione la quale, secondo la sana dottrina e la liturgia, è il "Consummatum est!" di Gesù, cioè la consumazione mistica del Sacrificio, il suo termine, il suo coronamento.

L'abbiamo già detto: non c'è Messa senza Comunione del Celebrante, ma non c'è neppure Comunione senza Messa, se­condo i princìpi della liturgia e del Sacrificio.

Ma qual è teologicamente parlando il fine supremo della Comunione eucaristica? Quale dovrebbe essere il nostro più veemente desiderio, il nostro grande ideale nel ricevere Gesù­Ostia?

Io rispondo categoricamente che il fine supremo della S. Comunione è essenzialmente legato a quello del S. Sacrificio, cioè: la glorificazione della SS.ma Trinità. Questo è evidente perché la Comunione è della stessa natura del Sacrificio; essa è dunque liturgicamente un banchetto sacrificale che si inte­gra col Sacrificio.

Noi dobbiamo dunque fare la S. Comunione per lo stesso altissimo fine per il quale offriamo il S. Sacrificio, vale a dire in omaggio di gloria e di fede della SS.ma Trinità. La S. Co­munione, in effetti, completa ciò che il Sacrificio ha incomin­ciato. Ecco perché il fine supremo dell'uno e dell'altro è iden­tico: "Gloria Patri, per Jesum Christum Dominum Nostrum!".

Secondo questa bella e solida dottrina, se dunque il Ce­lebrante consacra un grande ciborio con 500 ostie, vuol dire che i 500 fortunati comunicanti vogliono, alla Sacra Mensa, rendere alla SS.ma Trinità la stessa gloria che il Celebrante Le rende all'Altare. Così Sacrificio e Sacramento sono lo stesso identico, inno di lode divina, lo stesso inno di gloria a Dio.

Ciò detto, dobbiamo affermare molto categoricamente che la S. Comunione ha in più un altro scopo capitale che ci ri­guarda tutti personalmente: secondo l'insegnamento formale di Cristo, la S. Comunione è per istituzione divina un nutri­mento celeste. L'Autore stesso della grazia vi si dona, e Gesù Cristo diviene allora per la S. Comunione alimento delle no­stre anime: "Mens impletur gratia".

La "Manna" dell'Altare, il Pane degli Angeli, è, dunque, per un capolavoro dell'amore del Salvatore, un alimento, fon­te di vita e di vigore, dei viandanti in esilio che sono i mortali. Noi ci comunichiamo per avere una vita soprannaturale e averla sovrabbondante; ci comunichiamo per santificarci mediante questa unione sacramentale, intima, con il Santo dei Santi.

La S. Comunione è talmente un dovere sacro che il Salva­tore ha dichiarato formalmente che "colui che non mangia la sua Carne e non beve il suo Sangue, non avrà la vita in sé, non avrà la vita eterna" (Gv VI, 54). Il Sacerdote, quando distribu­isce la Santa Comunione, ce lo dice: "Il Corpo di Nostro Si­gnore Gesù Cristo custodisca la tua anima per la vita eterna!". Il comunicante fervoroso può ben dire con S. Paolo: "La mia vita è Gesù Cristo" (Fil I, 21).

Facciamo a questo punto un'osservazione estremamente interessante. Eccola: il comunicante, che sa tener conto della gamma dei valori spirituali, saprà anche, per ciò stesso, inten­sificare in sé la grazia e il merito. Voglio dire che, quando un comunicante fervoroso si è proposto nella sua Comunione pri­ma di tutto di onorare la SS.ma Trinità, per ciò stesso il Sacra­mento che riceve diventa in lui prodigiosamente nutriente ed egli profitta della sua Comunione al cento per cento, grazie a queste ammirabili disposizioni. È certissimo, in effetti, che colui che dà al Padre e alla SS.ma Trinità la parte di onore che Gli tocca, la parte principale, non soltanto non perde niente, ma moltiplica il suo tesoro e lo rende meravigliosamente effi­cace.

Facciamo a questo proposito un paragone: immaginiamo due invitati da un Re a un magnifico banchetto; l'uno vi va soprattutto desideroso e affamato di godere delle pietanze e dei vini della tavola reale; l'altro vi va soprattutto per onorare colui che l'onora, per deferenza verso il Re, in omaggio d'af­fettuosa lealtà... Ciò non gli impedisce, certamente, di gode­re del banchetto come l'altro, ma con un atteggiamento ben più nobile e ammirevole. Io so bene che questo paragone, per quanto bello, zoppica come tutti i paragoni; perché nel caso della S. Comunione, il Re che invita e lo splendido banchetto che ci offre è sempre Lui stesso!

Manteniamo, perciò, molto strettamente uniti con la fede e l'amore, la gloria dovuta alla SS.ma Trinità e il nostro pro­fitto spirituale nel ricevere il SS. Sacramento. Per un'ultima volta: colui che nel servizio di Dio, pur cercando molto legit­timamente il proprio profitto spirituale, dà al Signore la prima parte, riceve tutto il resto, con il regno di Dio e la sua giusti­zia, e lo riceve sovrabbondantemente... Sì, costui ha veramente trovato la pietra filosofale, cioè, il segreto di convertire tutto in oro di buona lega.

Concludiamo questa interessante esposizione: la S. Co­munione è essenzialmente un banchetto sacrificale che fa parte del Sacrificio come la parte del tutto. Il Sacrificio richiede la consumazione che è la S. Comunione. Ed ecco perché è molto conveniente che i fedeli facciano la S. Comunione durante la Messa.

Si è discusso a lungo se, per partecipare al Sacrificio, i fedeli dovessero necessariamente fare la S. Comunione du­rante la S. Messa. Ed ecco che Sua Santità Pio XII, nella sua recente e bella enciclica, tronca questa discussione. Citiamo testualmente le sue parole: "Non è raro che vi siano dei motivi per distribuire la S. Comunione o prima, o dopo lo stesso Sa­crificio... Anche in questi casi... il popolo partecipa regolar­mente al S. Sacrificio eucaristico... Se dunque, nella sua ma­terna accondiscendenza, la Chiesa si sforza di andare incontro ai bisogni dei suoi figli, questi nondimeno, da parte loro, non devono facilmente sdegnare tutto ciò che la sacra liturgia con­siglia e sempre che non vi sia un motivo plausibile in contra­rio, devono fare tutto ciò che più chiaramente manifesta al­l'Altare l'unità vivente del Corpo mistico".

Egli si è dato... Diamoci anche noi!


C'è una parola ispirata straordinariamente luminosa in ri­ferimento ai misteri dell'Incarnazione e della Croce e a quel­lo, stupendo per bellezza e maestà, che è il Sacrificio della S. Messa. Eccola questa parola luminosa: "Tradidit semetipsum". Ed eccone il commento dottrinale.

Il Verbo di Dio, per la gloria del Padre e per la redenzio­ne dell'uomo colpevole, si dà alla morte e alla morte di Cro­ce! E anche, nei secoli, all'immolazione della divina Eucari­stia. È dunque "amoris victima" per riscattare i nostri crimi­ni e i nostri misfatti. Egli è sull'Altare quale olocausto di espiazione e di propiziazione che arresta lo sdegno del Pa­dre... Il suo Cuore lo vince, il suo amore lo incatena per sempre!

Ora, nella celebrazione della S. Messa, vi è un gesto tra­scendente e esclusivamente sacerdotale, quello della Consa­crazione. Il Sacerdote, nel compierlo, partecipa come non mai al Sacerdozio di Cristo, investito di un potere unico conferito il Giovedì Santo dal mandato ricevuto da Gesù stesso.

Ma sia il Celebrante che i fedeli possono e devono realiz­zare un altro prodigio che la celebrazione veramente santa del Sacrificio richiede dal Sacerdote e da quelli che con lui offro­no la Vittima divina. Questo prodigio morale deve consistere nel raggiungere e riprodurre "l'abbandono totale del Cristo al Padre" per mezzo del nostro abbandono, anche totale, alla volontà del Padre - "Pater, in manus tuas commendo spiritum meum!" (Lc XXIII, 46).

Abbandonarci così sarà morire tutti i giorni, "quotidie morior", con un'immolazione a fuoco lento, abbandonandoci al Padre, alla sua volontà, per glorificarLo in unione con l'ab­bandono di Cristo sulla Croce e sull'Altare. Questo abbando­no da parte nostra sarebbe perfezionare e coronare il Sacrifi­cio con Gesù Cristo e come Gesù Cristo, in qualità di "offe­renti" che si abbandonano e di "vittime" che si immolano: "Offerens et oblatio".

Ecco la celebrazione integrale della S. Messa! Vale a dire che noi dovremmo aggiungere al rito liturgico, mille volte sa­cro, il dono totale e volontario di noi stessi al Padre, per mez­zo di Cristo, Sommo Sacerdote, con il Cristo-Mediatore e nel Cristo-Vittima.

Questa celebrazione integrale non dura solo lo spazio di una mezz'ora, ma tutta la giornata, e l'intera vita. Infatti, pri­ma, durante e dopo la celebrazione liturgica all'Altare, noi dobbiamo, con un immenso amore di generosità, abbandonar­ci incessantemente e senza riserva al Padre che diede il suo Figlio per amore, e anche al Verbo che si fece Vittima per amore al Padre e a noi. Due Vittime in una sola e stessa immo­lazione.

Dobbiamo essere pienamente convinti, preti e fedeli che il Rito sacramentale, per divino che sia, non ci darà di per se stesso e contro la nostra volontà ciò che questa partecipazione spirituale alla morte del Cristo, mediante il nostro abbandono e la nostra morte morale, ci otterrà sicuramente.

Se dunque noi lasciamo che il Signore si offra da solo, senza darci con Lui, noi faremo un grosso taglio alla gloria accidentale e esteriore del Padre e noi perderemo un enorme tesoro che ci era riservato.

È qui che bisogna applicare l'assioma che afferma che la santità suppone, certamente, l'amore che previene e che si riceve gratuitamente, ma essa consiste praticamente nell'amore generoso che si dona in cambio. Abbandonarsi al Padre per mezzo di Gesù Cristo è perciò un amore molto più grande di santità che il semplice fatto di accettare i suoi doni.

Chiunque si sforza di vivere pienamente e completamente la volontà di Dio, soprattutto quando è una volontà che ci cro­cifigge, nelle ore del Getsemani e del Calvario, costui sa vera­mente amare, perché sa donarsi in un perfetto abbandono.

Il Sacerdote che con queste ammirabili disposizioni sale all'Altare offre pienamente il S. Sacrificio, perché ne vive. E il fervente cattolico, che, pieno di questo spirito, si avvicina alla Sacra Mensa, mangia e assimila la grazia della sua santificazione... Una vita profondamente cristiana è una Messa vissuta!

"Padre - ha detto il Verbo incarnandosi - ecco che lo ven­go per fare la tua volontà, morendo di una morte crudele e ignominiosa!" E Colui che parla così è il solo Innocente, il solo Giusto, il solo Santo! Per essere meno indegno di cele­brare con un tale Pontefice, per partecipare alla sua immola­zione eucaristica, bisogna assolutamente saper rinunciare a Sé stesso: "abneget semetipsum", e aderire così, in spirito e veri­tà, alla Vittima della Croce e dell'Altare... Non dimentichia­molo, è in questa morte morale di tutti i giorni, è in questa abbandono della nostra volontà alla Sapienza e all'Amore del Padre che consiste la più autentica e la più alta celebrazione del S. Sacrificio.

Ecco veramente ciò che vuol dire "comunicare al suo Cor­po e al suo Sangue, comunicare alla sua vita e alla sua mor­te". Per Lui, è sempre il "tradidit semetipsum". E con Lui, anche per noi, celebrare con Lui vuol dire "abbandonarci senza riserve". In effetti, non si può, in questa Messa integrale, se­parare l'Ostia dal Celebrante, perché il Celebrante deve esse­re sempre, come Gesù Sacerdote, un'ostia.

Non ci inganniamo: solo un amore forte come la morte dà la soluzione di questa sublime Mistero... Non ci sono che gli eroi dell'amore che sanno morire così, perché essi solo sanno abbandonarsi. Essi soli hanno veramente compreso e voglio­no riprodurre, nella loro vita cristiana, questo "tradidit semetipsum", l'abbandono totale del Cristo sul Santo Altare!

Il Calice di salvezza


Parliamo ora della Missione di salvezza del Calice. "Calix salutaris", offerto per la redenzione di molti. Ah, le nostre anime sono state riscattate ad un così alto prezzo! Noi siamo costati quel che vale agli occhi del Padre il torrente versato sulla Croce e la cui effusione svuotò le vene del Salvatore, "redemisti nos Deo in Sanguine tuo!" (Ap V, 9).

In effetti, la principale missione di salvezza nella Chiesa, non è né la parola né 1'ammirabilissima attività di un France­sco Saverio. No! Questa attività apostolica suppone un San­gue redentore. La principale missione effettiva e reale, perché eminentemente divina, è precisamente quella della Croce, quella perciò del S. Sacrificio. Questo è assolutamente il pro­digio redentore del Giovedì Santo, coronato dal miracolo del Venerdì Santo.

La S. Messa li comprende tutti e due: il dramma del Cenacolo e la divina tragedia del Calvario, l'immolazione mistica del Giovedì Santo e quella cruenta del Venerdi Santo!

Non è questa una lezione tanto solida quanto confortante per la folla di belle anime che piangono, aspettando la conver­sione di una persona cara? Perché - ahimè! - i prodighi e i pubblicani abbondano anche nelle famiglie cristiane.

Quale nobile e santa angoscia è quella di una sposa cri­stiana, di una madre modello, di una figlia pia, che hanno in casa il cadavere morale di un marito, di un figlio, di un padre, lontani da Dio, che lavorano, guadagnano del danaro, godono della vita sull'orlo stesso dell'inferno!... La morte avanza, li aspetta al varco, potrebbe sorprenderli come un ladro e i loro conti non sono pronti; al contrario!... Quante anime sante, quante ferventi Religiose e soprattutto, quanti preti, pieni di zelo, soffrono questa angoscia, sentendo la responsabilità delle anime in grave pericolo!

Che cosa fare in tali situazioni? quale segreto misericor­dioso potrà ottenere queste risurrezioni morali, molto più dif­ficili di quella di Lazzaro? Perché convertire un'anima ingra­ta e indurita è un prodigio molto più straordinario che rianimare un cadavere... Come ottenere questo prodigio? Con la onnipotenza misericordiosa del S. Sacrificio! Perché una sola Messa pesa di più nella bilancia della giustizia e della miseri­cordia che tutte le buone opere di tutti i Santi! Sul loro esem­pio, compiamo, sì, anche noi le loro opere buone, penitenze, elemosine, preghiere. Ma perché queste opere divengano fe­conde fino al miracolo, mettiamole come una goccia d'acqua nel Sangue prezioso del Calice!

Parliamo spesso di anime "impossibili da convertire"... Convertire delle anime che sembrano inconvertibili! Che gran­de miracolo ci vorrà per far piangere di pentimento un disgra­ziato peccatore che si è allontanato dai Sacramenti e conduce una vita scandalosa da lunghi anni! Ed eccolo purificato nella piscina di una confessione ammirevole per sincerità: guarda­telo: con quale pietà va a ricevere il Dio della sua prima Co­munione, dopo un'assenza dal focolare della Chiesa di qua­ranta anni e più!... Questo "impossibile", dunque, non esiste­va affatto: il miracolo è avvenuto!

Queste meraviglie si ottengono molto spesso ed è sempre il grido della Vittima dell'Altare che le provoca. Il Padre non può rifiutare questa gloria e questa vittoria al suo diletto Fi­glio, che rese l'ultimo respiro chiedendo perdono e donando il Paradiso con una misericordia infinita.

Ma il Cielo esige sempre che si paghi il debito della giu­stizia. Il miracolo esplode quando la giustizia è perfettamente placata. È allora che la misericordia frantuma le tombe e fa cantare i morti risuscitati.

Le devozioni non mancano, ma la regina di tutte, quella del S. Sacrificio della Messa, ci manca troppo spesso. Ed ecco perché le grandi conversioni non avvengono. Io vorrei provo­care una forte reazione tra i buoni cattolici su un punto così importante. Con la Regina dei dolori, e come Giovanni e Maddalena ai piedi della Croce, preghiamo e piangiamo da­vanti al Calvario dell'Altare, facciamo violenza alla Vittima divina in favore dei cari figlioli prodighi dei nostri focolari. Strappiamo con la onnipotenza della Messa questi miracoli.

È con questo mezzo, classico a partire dal Venerdì Santo, che si fende la roccia dei più grandi peccatori. La mia convin­zione profonda è questa: un focolare dove vi è veramente un'anima fervente innamorata della Santa Messa, paga il ri­scatto e quindi salva dall'inferno coloro che sono in pericolo. Quest'anima è apostolo perché porta il Calice della salvezza nel suo cuore e il suo cuore vive nel Calice! È così che mia madre è stata la felice garante davanti a Dio, lo strumento di salvezza di mio padre, di mio fratello maggiore. E anche della mia vocazione. Parlo più che mai di una felice esperienza.

Metto le mie mani sul Vangelo e sull'Altare per testimoniare che dico la verità!... Io sono certo che, se voi siete fedeli e docili a seguire questo grande consiglio, mi benedirete un gior­no, in compagnia di coloro che voi avrete convertito e salvato con l'apostolato della Messa.

Sì, che i miei confratelli nel sacerdozio mi ascoltino con benevolenza; che mi leggano con attenzione i predicatori e i missionari e tutti gli apostoli dell'Azione Cattolica! Nell'af­fermare ciò io non faccio, in fondo, che una glossa molto sem­plice alla preghiera della Chiesa nell'offerta del Sacrificio: "Accetta, Padre Santo, questa Ostia immacolata, per la quale noi domandiamo la vostra clemenza... per la nostra salvezza e quella del mondo intero!".

E dal momento che io parlo con tanta compassione cri­stiana della missione misericordiosa che deve condurre tanti sviati all'ovile, credo molto opportuno ricordare qui che il suffragio per eccellenza per le anime sofferenti del Purgato­rio fu e resterà sempre l'oblazione della S. Messa. Infatti, la nostra Santa Madre Chiesa riversa ogni mattino fiotti del Pre­zioso Sangue, come una rugiada di sollievo e spesso anche come prezzo d'una liberazione definitiva, per le anime che si purificano ed espiano in quei luoghi di tormento.

Mi sembra che migliaia di anime volino in Paradiso, can­tando le divine misericordie, mentre il Sacerdote e i fedeli pagano ai piedi dell'Altare l'ultimo centesimo del loro debito. Non dimentichiamole mai queste povere anime quando of­friamo l'oblazione della Messa! E in un modo specialissimo, preghiamo per le anime sacerdotali del Purgatorio che, aven­do rinunziato a una famiglia naturale, sono spesso le più ab­bandonate.

Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia!

Sappiamo amare


Stiamo già per terminare questa meditazione e io spero che, come un bel sole, essa abbia illuminato e riscaldato l'ani­ma dei cari lettori.

Qui si impone un'affermazione dottrinale della più alta importanza di cui si trovano profondamente saturate ed im­pregnate tutte le pagine del Vangelo e le Epistole di S. Paolo. Intendo parlare di ciò che il Grande Apostolo chiama "la scien­za della Carità di Gesù Cristo". Sì, questa divina Carità ci incalza, "urget nos".

Disgraziatamente sono numerosi coloro che temono di parlare apertamente di questo tema, e ciò semplicemente per­ché hanno una grande paura di amare! E, per scusarsi tentano candidamente di prevenirci - essi dicono - contro il pericolo che chiamano "sentimentalismo, sdolcinatura, sogno" fanta­stici e poetici. Come se il primo comandamento "Amerai!" fosse un'aberrazione del Cielo, e come se lo spirito e lo stile di S. Paolo fossero debolezza o sogno!

No, mille volte no! amare non è né sentire né poetare... Amare, è donarsi. Ora, questo sublime donarsi a Dio e alle anime fu e resterà sempre il fondamento e la quintessenza di ogni virtù cristiana. L'amore divino è il grande, il solo segreto di ogni eroismo: "La perfezione della Legge è l'Amore" (Rm XIII, 10). Amare è possedere Dio nel fondo delle nostre ani­me. Ora, Dio è Amore! E perciò chiunque ama davvero, è già o sarà domani un Santo.

Vantarsi di essere un pensatore o un intellettuale è cosa molto facile, perché ciò non ha alcuna conseguenza morale e non obbliga a niente... Molto spesso questa pretesa non è che gonfiore, per fortuna senza dolore!... Invece, amare è stato sempre molto arduo.

In effetti, darsi, abbandonarsi alla sequela di Gesù Cristo non è affatto sentimentalismo, ma un martirio interiore. L'amo­re vero è sempre un nobile tiranno. E tuttavia "amare" è pro­prio "il primo e il più grande dei comandamenti!". E, siccome è così facile credersi e dirsi ragionatore e intellettuale, noi abbiamo una legione di costoro, mentre, per viltà, perché non si osa darsi amando con tutto cuore, i Santi, gli eroi ci manca­no! Domandate al martire dei lebbrosi, il celebre padre Damiano, se l'amore è sentimentalismo e debolezza o se non è... un dolce e terribile tiranno.

E il Santo Sacrifico è per eccellenza il Mistero della Fede e dell'Amore. La sua spiegazione soprannaturale, tanto sobria quanto forte e divina, si ritrova in queste parole: "Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unico Figlio" (Gv III, 16). È lo Spirito Santo che parla così; noi possiamo dispensarci dai nostri poveri commenti.

Perciò, è l'Amore di Dio Padre e di Dio Figlio, Incarnato e Ostia sempre per amore, che ci dona la chiave di questo inef­fabile mistero. E nella stessa maniera che nel Cielo la contem­plazione beatifica si risolve in un'estasi d'amore, non certa­mente infinita ma smisurata, così anche quaggiù il mistero del S. Sacrificio si rivela nella luce che sgorga sempre dalla fiam­ma di un'ardente carità.

È proprio il caso di gustare quel detto ben conosciuto dai Santi: "Ama e conoscerai". Se tu vuoi veramente penetrare nell'oscurità di questo grande Mistero, se tu desideri contem­plare ciò che è incomprensibile nel dramma del S. Altare, al­lora: ama! ama! ama perdutamente e tu conoscerai! Nella di­vina chiarezza provocata da un immenso amore, tu vedrai ciò che Maria, la Regina dei dolori, vide sul Golgota,

Oh, la calma meravigliosa di Maria, e la sua pace dolce e inalterabile nel contemplare il deicidio commesso dai carnefi­ci! Non un grido non una protesta indignata esce dalla sue labbra... Eppure ella soffre l'agonia, ed ella è la Madre, una Madre unica per la nobiltà sublime della sua Maternità divina e verginale. GuardateLa in piedi, intrepida, pur soffrendo l'in­dicibile, ma in un oceano inalterabile di pace. Ascoltatela: i suoi pianti sono quelli di una tortorella ferita, e i suoi gemiti hanno quasi le modulazioni di un canto, di un Magnificat che rapisce gli Angeli!

Come spiegarci questo atteggiamento incomprensibile di Maria al Calvario? Ah! la sua pace è nel fondo del suo Cuore che ama come nessuna persona ha mai amato in questo mon­do! È dunque il suo amore che La fa penetrare in questo Mi­stero di sapienza e di follia della Croce. Ella è imperturbabile e calma perché Ella vede. Sì, Ella vede e comprende meravi­gliosamente il Mistero del Calvario, perché Ella ama con Cuore di Madre, di Vergine e di Martire... Ella è la Madre del Bell'Amore. PreghiamoLa che voglia ottenerci, con il raggio di una grande conoscenza, la fiamma di un amore immenso. Allora, come Lei, noi penetreremo nel Mistero della Croce che è quello dell'Altare: "Ama e conoscerai!".

I Santi, come un Curato d'Ars, un Filippo Neri, un Vin­cenzo de' Paoli, un Giovanni Bosco, possedettero certamente la scienza della Carità, amarono di un amore forte come la morte. È per questo che sono i Santi specialisti del S. Sacrifi­cio della Messa. Quanti grandi Maestri di teologia non otter­rebbero un buon voto se dovessero subire un esame su questa tesi da parte del santo Curato d'Ars!

Noi abbiamo fiotti di luce elettrica, ma luce molto fredda e che rende ammalati gli occhi dell'anima. Luce elettrica, di­ciamo, quella di uno studente che legge molto, ma prega poco. Spalanca gli occhi, desideroso di vedere... Ahimè! senza sa­perlo soffre di cateratte spirituali, perché non ha il tempo di meditare! Sfortunatamente, non ama di un grande amore. L'Altare è davvero la cima che tocca il trono dell'Altissi­mo. Speculativamente vi salgono solo i dottori ed i pensatori, ma della statura di Tommaso d'Aquino, di Bonaventura, di Bellarmino, di Contardo Ferrini: i Santi. Perché la S. Messa, ha detto qualcuno, è l'estasi ufficiale della Chiesa e la più alta contemplazione, molto più sublime di quella di S. Paolo. Ma ugualmente, sono numerosi gli umili, i piccoli che gustano con delizia il Mistero del S. Sacrificio. Hanno veramente il privilegio di squarciare il velo, e ci stupirebbero molto se do­vessero rispondere a questa domanda: "Come comprendete la S. Messa per quanto riguarda la gloria di Dio e la salvezza delle anime?". E ascoltandoli, meravigliati, voi comprendere­ste con profonda emozione perché il Salvatore, trasalendo di gioia, esclamò: "Ti rendo grazie, Padre, perché hai nascosto queste cose ai prudenti e ai sapienti di questo mondo e le hai rivelate ai piccoli!" (Lc X, 21).

Amiamo dunque Gesù Cristo, amiamoLo con un amore infuocato e con un santo delirio! E allora Lui, per ripagare il nostro amore, ci introdurrà nel santuario del suo Cuore e là ci racconterà i secreti che il Padre ha affidato a Colui che è il suo Splendore e il suo Diletto.

Amiamo, e allora Colui che si è detto "Lux mundi" e che è Salvatore e Pontefice del S. Sacrificio, ce ne affiderà la chia­ve, la comprensione che riserva ai suoi amici, che diede a S. Giovanni, il privilegiato della Cena e del Calvario.

Se noi amiamo di una immensa carità, come solo i Santi sanno amare, allora noi comprenderemo ciò che i Santi com­presero, frutto prezioso e dilettevole del loro amore... "Ama e conoscerai!".

Mentre i fedeli adorano e pregano, e il Celebrante offre al Padre, con questa "maxima actio", l'Ostia divina, gli Angeli cantano, alternandosi con i Santi: "Dio ha così amato il mon­do da dargli il suo unico Figlio" (Gv 111, 16). ContemplateLo all'Altare. È proprio la Vittima del suo amore per il Padre, e anche la Vittima dell'amore che Lo dona irreversibilmente, a noi, sue creature ingrate!

Il Paraclito


Ho detto spesso predicando, ma ci tengo a ridirlo in questo piccolo libro: noi ignoriamo tante cose semplici e su­blimi sul Mistero dell'Altare, perché lo Spirito Santo non è amato. Egli è invocato soltanto nel campo cattolico molto pio. Ahimè! quanto poco numerosi sono quelli che abitualmente fanno ricorso al Paraclito, Luce sostanziale e Amore increato! Il Sole della Pentecoste è un po' dappertutto avvolto di una nebbia fitta e fredda di indifferenza... Dio misconosciuto! E tuttavia, solo il Paraclito ha la missione, nella Chiesa, di illu­minare le anime, di riscaldarle e di santificarle, Lui solo, il "Santificatore"! Non è dunque strano che, dopo venti secoli di cristianesimo, il Sacrificio della Messa sia così poco ap­prezzato da una folla di fedeli, che hanno certamente una "buo­na fede", ma non sempre la "vera fede".

Ah! bisognerebbe far bruciare davanti all'Altare il cande­labro ai sette Doni dello Spirito Santo, perché il celebrante e i fedeli penetrino nel Santo dei santi, ripieni della dolce maestà del Signore. Dopo che il velo del Tempio di Gerusalemme fu squarciato, un Veneri Santo, noi abbiamo tutti il diritto d'en­trarvi: il Figlio di Dio colà ci chiama e ci attende!

Consigli pratici


Ora, sempre sotto le ali e il soffio dello Spirito Santo, con­sideriamo la maniera pratica di ravvivare in noi e intorno a noi la fiamma che dovrebbe consumarci con la Vittima sacro­santa della Messa.

E prima di tutto, bisognerà decidere molto risolutamente di fare uno studio molto serio del S. Sacrificio, tesi del più alto valore teologico e spirituale. Le opere non ci mancano, avremo persino l'imbarazzo della scelta. Ma bisognerebbe soprattutto fare uno studio a parte del "Canone" della Messa, vero mosaico composto di frammenti delle più antiche pre­ghiere della Chiesa. Ci assicurano che vi si trova la polvere d'oro della Messa delle catacombe, anche frammenti, sembra, di S. Ireneo.

Poi, non contentarsi di assistere corporalmente alla Mes­sa, ma parteciparvi, offrirla con il sacerdote, cioè seguire su di un libro tutte le preghiere liturgiche e tutte le cerimonie, o avere delle preghiere di nostra scelta consone con il S. Sacri­ficio. E guardiamoci bene dal tagliare questa corrente sopran­naturale o di interrompere indiscretamente il concerto subli­me della Chiesa con delle devozioni private che non conven­gono con la maestà della Liturgia ufficiale. Adoriamo, lodia­mo e preghiamo l'Altissimo per Gesù Cristo Nostro Signore, in perfetta unione con la Santa Chiesa. Offriamo il S. Sacrifi­cio per Lui, con Lui e in Lui! Tra le sue braccia e sul suo Cuo­re adorabile, saliamo fino al Padre che, in quel momento, mette tutte le sue compiacenze nel Figlio che pontifica all'Altare.

Ed infine, promettiamo sinceramente di non mancare mai ad una Messa per colpa nostra. Dunque: Messa e Comunione quotidiane, se il dovere ce lo permetterà.

La Santissima Trinità


Il Cristo-Mediatore è la scala di Giacobbe per la quale dobbiamo salire fino al Padre. Perché nessuno può andare a Lui se non per il Figlio!

Ed ecco ora un frutto squisito dell'amore del Santo Sacri­ficio: la devozione alla SS.ma Trinità

Per una dolce e lunga esperienza posso affermare che non ho mai incontrato un vero devoto dell'Augusta Trinità che non vi sia arrivato per la via regale del Mediatore della Messa. Sì, la conoscenza e l'amore del Padre e della Trinità nascono e si sviluppano sempre nel raggio dell'Altare. Questa devozione sboccerà un giorno nel cantico degli Angeli "Sanctus, Sanctus, Sanctus, Deus Sabaoth!".

Sembra molto opportuno dire qui una parola sulla Festa della SS.ma Trinità, liturgicamente celebrata la prima dome­nica dopo la Pentecoste. Ah! Ma la Trinità è una Maestà tal­mente al disopra dei cieli e talmente gloriosa che converrebbe prolungare tutto l'anno la celebrazione di questa bella dome­nica. Ecco dunque una affermazione tanto bella quanto dottrinale: la grande, la meravigliosa Festa della SS.ma Trini­tà, celebrata all'unisono con il Cielo, la Terra e il Purgatorio, lungo tutto il giorno e l'anno, festa ininterrotta e infinitamente gloriosa è il S. Sacrificio della Messa!.

Sì, la Chiesa trionfante, militante e purgante si uniscono in uno stesso slancio d'adorazione, di lode e d'amore per can­tare ad ogni Messa: "Gloria in excelsis Deo!... Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto in Altari!". Non c'è, e non può esserci una celebrazione della SS.ma Trinità più divina e dunque più degna della Divinità, che l'inno ufficiale di lode del Pontefi­ce, del Mediatore e della Vittima del S. Sacrificio. "Confitebor Tibi in cithara, Deus!" dice la Chiesa: "Io ti lodo, o Dio, sul­l'Arpa divina che è il Cuore del Sommo Sacerdote, l'adorabi­le Celebrante della Messa!". È questo già il concerto dell'eter­nità, ma trasportato all'Altare con la "sordina" del mistero eucaristico. Sì, la S. Messa è dunque l'aurora di un Paradiso che non attende che il nostro trapasso per rivelarsi senza veli.

La Realtà tutta divina e sostanziale è assolutamente la stessa in Cielo e sull'Altare... Ah! ma non la visione e il possesso di questa Realtà, di questo Tesoro... La perfetta visione, faccia a faccia, e il possesso definitivo, eterno, è l'appannaggio riser­vato ai cittadini del Cielo!

Come sarebbe augurabile che soprattutto i sacerdoti aves­sero una devozione bruciante, straordinaria, per questo inef­fabile Mistero, ma una devozione fondata sulla dottrina e sti­molata da una reale pietà!... Ogni Sacerdote dovrebbe essere sempre per sé e per gli altri un "grande specialista" del S. Sacrificio. Com'è vero l'aforisma che dice: "Qualis Missa, talis Sacerdos": il Sacerdote è qual è la sua Messa.

Beato il sacerdote che sa preparare con molta cura la sua Messa, che la sa assaporare molto lentamente e deliziosamente e che ne vive, con cuore pieno! "Donaci, Signore, molti santi Sacerdoti che comprendano questa dottrina, ma che soprattut­to ne vivano".

Riparazione!


Noi abbiamo affermato con un santo ardore che la S. Mes­sa è l'espiazione adeguata e perfetta dei peccati del mondo. Ricordiamoci a questo scopo con quale insistenza il Salvatore domandò a S. Margherita Maria un'ammenda onorevole, pie­na d'amore, e una riparazione fervente e solenne per gli spa­ventosi sacrilegi di cui è Vittima nel S. Sacramento.

Non dimentichiamo, infatti, che consegnandosi al Padre, Gesù, che vedeva attraverso i secoli, si consegnava a Giuda e ai suoi scherani ed eredi. Ahimè! la dinastia di quel traditore è lungi dall'essere estinta! Come si sono diffusi dappertutto i Giuda che tradiscono e consegnano il loro Maestro con un bacio! Meglio sarebbe stato per essi non essere mai nati! S. Paolo dice che queste anime sacrileghe mangiano e bevono la propria condanna! (1 Cor XI, 29).

Ah! non ci si immagina con quale furore satanico ci si accanisce contro la Persona di Gesù, presente sotto il bianco velo dell'Ostia. Egli è colà il centro e l'oggetto di un amore che giunge fino al delirio... Ma anche, ahimè! Egli è la vitti­ma di un odio come quello degli scribi e dei Sacerdoti che abbeverarono di sarcasmo l'Agonizzante del Calvario!

Pietà per tutti, Re d'Amore, pietà e perdono, Gesù-Ostia, per tutti questi Giuda! Voglia il vostro Cuore trafitto prendersi una vendetta di misericordia, perché essi non sanno quello che fanno!

"Parce, Domine, parce sacerdotibus tuis, parce populo tuo, ne in aeternum irascaris nobis... Miserere!".

Ah! se per chiudere questa meditazione io potessi avere l'ispirazione e il cuore di colui che cantò il "Lauda, Sion, Salvatorem!".

Se ascoltandomi parlare con un tono così convinto e vi­brante sulla maestà del S. Sacramento, la creazione si sentisse commossa e sconvolta come lo fu alla morte del Signore, il Venerdì Santo! E se, afferrata da questa commozione, si di­sponesse ad esplodere in un inno di lode al Creatore nasco­sto nell'Ostia, io la fermerei dicendo: "Sole, stelle e vulcani, valli e oceani, foreste, vigne e giar­dini, tacete, non cantate ancora!

Angeli e Santi del Paradiso, anche voi restate muti un momento, non cantate ancora!

E voi, Maria, Regina della creazione, Voi la Madre divina del Re dei re, in ginocchio ai vostri piedi, io oso pregarVi di fare un momento di silenzio, perché l'Arpa divina all'Altare, che è il Cristo, sta per vibrare, per cantare al Padre!

Gesù-Vittima, Gesù-Mediatore, Gesù-Pontefice, cantate, lodate e benedite l'Altissimo a nome dell'umanità riscattata dal vostro Sangue prezioso!

Cieli, tacete; terra, taci mentre migliaia di Sacerdoti, da un polo all'altro della terra, elevano l'Ostia e il Calice! Ed ora, cieli e terra, ascoltate: l'Arpa adorabile già vibra... Essa canta all'Altare l'inno che cantò il Venerdì Santo sul Calvario!

Oh! Cristo Gesù, cantate dunque alla SS.ma Trinità, con la Chiesa e a nome di tutta la creazione!

Gloria al Padre, l'Amore onnipotente! Gloria al Figlio, l'Amore misericordioso! Gloria allo Spirito Santo, l'Amore sostanziale! Gloria all'Altissimo nei Cieli!

Gloria alla Trinità sull'Altare del S. Sacrificio!".

E il Cielo e la terra rispondano: "Osanna! Osanna! Amen!... Fiat, fiat per i secoli senza fine!".

È Sacerdote fervente e vero cristiano colui che sa vera­mente apprezzare il prodigio d'amore e di grazia che è il S. Sacrificio della Messa, che l'ama con una santa passione e che soprattutto si sforza di viverne... questo predestinato - io dico - ha avuto il privilegio inestimabile di trovare, come la Samaritana, il Messia Salvatore. Ma ben più fortunato di lei, egli ha ricevuto nel Cuore di Gesù la fonte d'acqua viva che zampilla fino alla vita eterna.

Domandate con fervore allo Spirito Santo la luce divina che scaturisce da una fiamma divina, per conoscere profonda­mente il Dono per eccellenza che è l'Eucaristia-Sacrificio e l'Eucaristia-Sacramento! E per la scala di Gesù, che sono le braccia del Sommo Sacerdote e della Vittima dell'Altare, sali­te fino al trono della SS.ma Trinità... E allora, con una auda­cia tutta filiale, rapite il Cuore del Padre mediante il Cuore del Figlio, il Mediatore del S. Sacrificio della Messa! Trois-Rivières 17 dicembre 1948

P. Mateo Crawley, SS. CC.
 

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